Ne quis tam parva fastidiat elementa: non quia magnae sit operae consonantes a vocalibus discernere, ipsasque eas in semivocalium numerum mutarumque partiri; sed quia interiora velut sacri huius adeuntibus apparebit multa rerum subtilitas, quae non modo acuere ingenia, sed exercere altissimam quoque eruditionem ac scientiam possit.
Quintiliano, I, 4., 4.002
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Il trattato sugli elementi del linguaggio che si offre qui al Pubblico è da tempo conosciuto da un numero abbastanza grande di uomini di lettere. L'opera manoscritta è rimasta per diversi anni nelle mani di alcuni di essi, passando dagli uni agli altri; e, senza parlare dell'uso che se ne è fatto in una vasta e celebre raccolta, destinata a raccogliere le scoperte e le conoscenze umane, se ne trovano talvolta i pensieri e le espressioni in certi Libri recenti, il cui argomento impegnava a parlare sia della materia o della forma del linguaggio, sia della filosofia del discorso.
Le vedute dell'autore vertevano su questi tre punti, nel comporre l'opera che si sta per leggere; ma egli si è soprattutto occupato dei primi due, come di un preliminare indispensabile prima di arrivare al terzo. Il vero o il falso delle idee dipende, in gran parte, dalla verità o dalla falsità delle espressioni, cioè dall'esatta corrispondenza delle nozioni prime, contenute in ciascuno dei termini che si impiegano, con le idee nuove che si vogliono trasmettere, o con le opinioni che si vogliono sostenere. Se si andassero a scomporre le idee prime, contenute nelle espressioni messe in opera per sostenere un pensiero, si sarebbe sorpresi, spesso, dal trovare tanto poco rapporto tra queste idee e quelle che si prendono come una loro conseguenza. Si sarebbe almeno stupiti della singolarità del passaggio dalle une alle altre, e dal cammino bizzarro dello spirito umano. L'etimologia attiene, più da vicino di quanto non si creda, alla logica: è a ravvicinarle del tutto che questo Trattato è destinato.
In questa prospettiva, vi si risale fino alle cause prime, fino ai principi elementari dell'espressione delle idee mediante la formazione delle parole, al fine di dedurne con più conoscenza e giustezza i rapporti, e il grado di forza che questi devono avere quando sono raccolti in schiere numerose. Giacché non si perviene a conoscere la forza del discorso risultante dall'assommarsi dei termini, che nella misura in cui si è cominciato a conoscere bene la forza dei termini stessi, il loro valore reale e primitivo, la loro accezione convenzionale e derivata, che non si è stabilita - a proposito o meno - se non sul vero e primo senso fisico della parola, su un rapporto reale tra i termini, le cose e le idee.
L'autore ha dunque pensato che doveva inizialmente soffermarsi sull'esame di questi rapporti, se voleva condurre il lettore alla meta prefissata. Per scoprire la sorgente e il corso di una quantità di opinioni diffuse tra gli uomini, egli ha scelto la strada di osservarne i fondamenti veri o falsi nella produzione stessa delle parole che essi hanno inventato per esprimere le loro idee, nelle combinazioni e nelle sfumature di colori che hanno impiegato per dipingere agli altri uomini gli oggetti della natura, tali quali essi stessi li vedevano. Giacché, in qualsiasi linguaggio, soprattutto in quelli dei popoli civilizzati, vi sono ben poche espressioni semplici a tal punto da non trovare, scomponendole, che esse sono a loro volta una combinazione d'un certo numero di tratti, d'oggetti e d'idee, riuniti in un unico quadretto, attraverso il quale si vuol fare un'impressione pronta e chiara sullo spirito a cui lo si presenta.
Per riuscire in questo tipo di analisi, è stato necessario risalire fino alle radici che hanno prodotto le parole utilizzate nel linguaggio umano; scoprirne il primo germe, e seguire gli sviluppi di ramo in ramo; osservare come e perché sono state prodotte così come colpiscono il nostro orecchio; in una parola, arrivare al grado ultimo dell'analisi, ai principi più semplici e veramente primitivi, poiché è molto vero che qui, come in tutti i fenomeni naturali, i grandi sviluppi, che ci affèttano in un modo così sensibile, non sono che la conseguenza necessaria e l'estensione dei primi germi impercettibili.
Riconoscendo allora:
che questi germi della parola, così varia, e dei linguaggi moltiplicati presso tanti popoli, non sono altro che le inflessioni semplici e primitive della voce umana;
che la forma di ogni inflessione o articolazione vocale, il cui rumore arriva all'orecchio mediante l'ondulazione dell'aria, dipende dalla forma e dalla costruzione dell'organo che la produce;
che la costruzione di ogni organo è determinata dalla natura, in tal sorta che, seguendo necessariamente l'effetto da una causa data e messa in azione, un organo non può produrre altro effetto, né modulare l'aria in altra maniera di quella che la sua struttura naturale gli ha reso possibile;
che ciascuno degli organi della voce umana ha la sua struttura propria, dalla quale risulta la forma del suono ch'esso restituisce, determinata dalla forma stessa della costruzione;
che gli organi che compongono lo strumento totale, e il meccanismo completo della voce umana, sono di numero piccolo;
che, per conseguenza, il numero delle articolazioni vocali deve corrispondervi, e non può essere più grande, poiché tale è l'effetto che la macchina può produrre;
queste prime osservazioni, fondate sui principi fisici delle cose, tali quali la natura le ha fatte, recano le conseguenze seguenti.
Che i germi della parola, o le inflessioni della voce umana, da cui sono sbocciate tutte le parole dei linguaggi, sono effetti fisici e necessari, risultanti assolutamente, tali quali sono, dalla costruzione dell'organo vocale, e dal meccanismo dello strumento, indipendentemente dal potere e dalla scelta dell'intelligenza che li mette in gioco.
Che i germi essendo di numero molto piccolo, l'intelligenza non può fare altro che ripeterli, assemblarli, combinarli in tutti i modi possibili per produrre le parole sia primitive che derivate, e tutto il meccanismo del linguaggio.
Che, in questo numero piccolo di germi o di articolazioni, la scelta di quella che si vuol far servire alla produzione di una parola, vale a dire al nome d'un oggetto reale, è fisicamente determinata dalla natura e dalla qualità dell'oggetto stesso, in modo tale da dipingere, per quanto è possibile, l'oggetto tale qual'è, senza di che, la parola non ne darebbe alcuna idea: a tal punto che l'uomo, che si troverà a dover imporre il primo nome a una cosa rude, impiegherà un'inflessione rude e non un'inflessione dolce; allo stesso modo in cui, tra i sette colori primitivi, un pittore, che vuole dipingere l'erba, è obbligato a impiegare il verde, e non il viola. Senza cercare più lontano, si può giudicare dalla parola rude e dalla parola doux: l'una non è rude e l'altra dolce? Immaginiamo un Caraibico che volesse significare a un Algonchio "un colpo di cannone", oggetto nuovo per questi due uomini che non si capiscono; egli non lo chiamerà nizalie, ma poutoue.
Che il sistema della prima produzione del linguaggio umano e dell'imposizione dei nomi alle cose non è dunque arbitrario, come si ha l'abitudine di rappresentarlo, ma un vero sistema di necessità determinato da due cause: l'una è la costruzione degli organi vocali che non possono restituire se non certi suoni analoghi alla loro struttura, l'altra è la natura e la proprietà delle cose reali che si vogliono nominare. Essa obbliga ad impiegare per loro nome dei suoni che le dipingano, stabilendo tra la cosa e la parola un rapporto grazie al quale la parola possa evocare un'idea della cosa.
Che la prima produzione del linguaggio umano non è dunque potuta consistere, come l'esperienza e le osservazioni dimostrano, se non in una pittura più o meno completa delle cose nominate; tale che fosse possibile agli organi vocali di effettuarla mediante un rumore imitativo degli oggetti reali.
Che questa pittura imitativa s'è estesa di grado in grado, di sfumatura in sfumatura, attraverso tutti i mezzi possibili, buoni o cattivi, dai nomi delle cose più suscettibili d'essere imitate dal suono vocale, fino ai nomi delle cose che lo sono meno; e che tutta la propagazione del linguaggio s'è fatta, in un modo o nell'altro, su questo primo piano d'imitazione dettato dalla natura, come l'esperienza e le osservazioni provano ancora.
Che, stando così le cose, esiste una lingua primitiva, organica, fisica e necessaria, comune a tutto il genere umano, che nessun popolo al mondo conosce né pratica nella sua prima semplicità; che tutti gli uomini parlano nondimeno, e che costituisce il fondo primo del linguaggio di tutti i paesi: fondo, che il meccanismo immenso degli accessori di cui è carico lascia appena percepire.
Che questi accessori usciti gli uni dagli altri di ramo in ramo, di ordine in sott'ordine, sono essi stessi usciti dai primi germi organici e radicali, come dal loro tronco; che essi non sono se non un ampia estensione della prima produzione del linguaggio primitivo tutto composto di radici: estensione stabilita da un sistema di derivazione seguito passo passo, di analogia in analogia, mediante un'infinità di strade dirette, oblique, trasversali; di cui la quantità innumerevole, le varietà prodigiose e le strane divergenze costituiscono la grande diversità apparente che si trova in tutti i linguaggi.
Che nondimeno tutte le strade, malgrado la diversità della loro tendenza apparente, conducono sempre, infine, ripercorrendo i loro passi, al punto comune da cui si sono tanto decisamente discoste.
Che, poiché il sistema fondamentale del linguaggio umano e della prima produzione delle parole non è minimamente arbitrario, ma di una necessità determinata dalla natura stessa, non è possibile che il sistema accessorio di derivazione non partecipi più o meno alla natura del primo da cui esso è uscito in second'ordine; e che esso non sia come lui piuttosto necessario che convenzionale, almeno in una parte delle sue ramificazioni.
Che il linguaggio umano e la forma dei nomi imposti alle cose non è dunque, come ce lo si figura, l'operazione della volontà arbitraria dell'uomo; che nella prima produzione del linguaggio umano e dei nomi radicali questa forma è l'effetto necessario delle sensazioni venute dagli oggetti esteriori, senza di che la volontà non vi avrebbe avuto quasi alcuna parte; che essa ne ha anche avuta molta di meno di quanto ci si immagina nelle derivazioni, sempre tratte dai primi nomi radicali e imitativi degli oggetti reali, anche laddove la derivazione viene a esercitarsi, non su oggetti fisicamente esistenti in natura, ma su idee, su oggetti intellettuali che non hanno esistenza se non nello spirito umano; in una parola, su degli esseri astratti che non appartengono se non all'intendimento o agli altri sensi interiori.
Che dopo essere risaliti ai primi principi del linguaggio, tratti dall'organizzazione umana, e dalla proprietà delle cose nominate, è importante e conveniente ridiscendere allo sviluppo di questi principi; osservare gli effetti della derivazione, dopo aver conosciuto le sue cause e i suoi elementi; esaminare per quali vie essa è passata dal fisico al morale, e dal materiale all'intellettuale; discriminare attraverso l'analisi delle operazioni successive, l'impero o l'influenza della natura nel meccanismo della parola e della formazione delle parole, rispetto a ciò che l'uomo vi ha messo di arbitrario per sua propria scelta, per l'uso, per la convenzione ricevuta; mostrare attraverso quali determinazioni, quali metodi, e fino a che punto, l'arbitrario ha lavorato sul fondo primo fisicamente e necessariamente dato dalla natura.
E' su questi principi studiati e riconosciuti, che si considera qui la folla immensa delle lingue sparse su tutta la terra, in ciò che essa ha solamente di generale, di primordiale e di comune, come se fosse un oggetto unico; senza riguardo a ciò che la grande diversità del clima, dei costumi e degli usi, del modo di pensare e di procedere ha messo di particolare in ciascuna. Molte persone illuminate hanno trovato qualcosa di nuovo e di interessante in questo metodo di applicare così l'analisi e la sintesi alla formazione del linguaggio, senza altra guida che la natura, seguita palmo a palmo nelle sue operazioni.
Una parte dei principi e delle osservazioni sopra esposte erano già conosciute; ma esse erano state fatte senza consequenzialità e in maniera isolata. Si è visto che esse acquisivano un alto grado di forza dall'insieme e dalla concatenazione reciproca. Il loro legame getta una nuova luce filosofica su tutto il sistema del linguaggio umano, scoprendo in che modo la fisica e la metafisica si sono da sé stesse e come per istinto adattate alla grammatica. Si è trovato che questo metodo tracciava una via maestra per andare alla scoperta di una vasta regione della metafisica fin'allora poco conosciuta, e dove non s'era ancora penetrati che attraverso dei sentieri.
Leibniz diceva che sarebbe desiderabile che la filosofia consacrasse una parte delle sue ricerche alla discussione dei metodi e delle invenzioni grammaticali. Si vedrà, non senza qualche sorpresa, che gli Indiani avevano un tempo seguito un'idea più o meno simile. Quello che si racconta della lingua dei Brahmani indica che essi vi avevano proceduto in una maniera quasi altrettanto perfetta, e tanto vera quanto era loro possibile: a tal segno è vero che la remota antichità aveva fatto nelle scienze progressi più grandi di quanto noi non siamo portati a credere oggi che i suoi monumenti sono perduti. Ciò che Leibniz richiedeva, si cerca di farlo qui, non per la sintassi, di cui non sarà questione se non di passaggio, ma per le parole, che costituiscono la materia prima della sintassi. Non ci si occupa, come hanno fatto certi grammatici, di fabbricare con arte una lingua fittizia, che, per l'uso universale che se ne potrebbe fare, tanto verbalmente che per iscritto, terrebbe nel commercio e nella conoscenza di tutte le nazioni lo stesso luogo che l'algebra tiene tra le scienze numeriche; progetto che non si può sperare di far mai adottare agli uomini nella pratica. Ci si limita a mostrare qui, che questo fondo di linguaggio universale esiste in effetti. In luogo di perdere il tempo a tentare, senza frutto, ciò che l'arte potrebbe fare, ci si mette alla scoperta di ciò che ha fatto la natura. C'è almeno più realtà nel risultato di questo lavoro, di quanta non ce ne sarebbe nell'altro.
Vi si descrive inizialmente l'organo della voce umana, il numero, la forma e il gioco di ciascuna delle parti che compongono questo strumento ammirevole; l'ordine in cui la natura li sviluppa e li mette in gioco; gli effetti necessari di ogni parte nel suo movimento materiale, e nelle modulazioni che esso imprime all'aria; le differenze e le proprietà di ogni articolazione; il numero fisso e vero, tanto delle vocali che degli accenti e delle consonanti; come, e per quale movimento dolce, rude o medio, ciascuna delle consonanti parte da ogni organo in forma semplice, o si flette su un organo vicino, per prendere una forma composta. Si osservano le varietà che produce nella vocale il passaggio del suono per uno o per l'altro dei due tubi dello strumento vocale, la bocca e il naso. Si indica quali possono essere le cause della differenza così sensibile, che si lascia udire tra la voce parlante e la voce cantante. Si dà una formula di scrittura organica molto semplice, in cui ogni elemento corrisponde ad un organo e al suo movimento proprio, formula che non ha altro utilizzo se non di servire da glossometro per misurare il grado di comparazione tra le lingue, e verificare la correttezza delle etimologie e delle derivazioni. Tutto ciò è il lato tecnico della cosa, faticoso e noioso per il lettore, ma indispensabile, poiché descrive le operazioni della natura, le quali fondano i principi da cui vengono le conseguenze e gli sviluppi.
Si cerca quindi quale sia la lingua primitiva e, dopo aver indicato dove la si deve cercare, si mostra come essa procede, in quale ordine, in quale sequenza di ordini, per quali rapporti naturalmente stabiliti tra certi organi, certi sentimenti, certe sensazioni, certe esistenze fisiche, e modalità di esistenza. Si prova che tutto è primitivamente fondato sull'imitazione degli oggetti esterni, tanto mediante i suoni vocali che mediante le figure scritte, che l'impossibilità di far pervenire all'udito, con un rumore imitativo, gli oggetti della vista, ha costretto a fare ricorso a un altro genere d'imitazione suscettibile di cadere sotto quest'altro senso, e ha dato vita alla scrittura. Si seguono i differenti ordini, gradazioni e sviluppi di questa nuova arte, dalla scrittura primitiva in figure, fino ai caratteri alfabetici. Si mostra che gli ordini e le sequenze sono dello stesso genere, nella scrittura come nella parola, in quanto la natura è ugualmente servita da guida, dando i principi e gli sviluppi attraverso analoghi processi di imitazione, d'approssimazione e di comparazione; finché da ultimo l'uomo non ha totalmente cambiato il sistema di scrittura, attentandosi a dipingere, non gli oggetti esterni come in precedenza, ma i movimenti di ciascuno degli organi vocali, mediante l'invenzione di un alfabeto. Si nota come s'è fatta questa ammirevole riunione dei due sensi della vista e dell'udito, che assoggetta gli oggetti dell'una e dell'altro sotto uno stesso punto, nel tempo stesso in cui gli oggetti e le sensazioni restano in realtà ben separati. Si nota ancora quanto il genere dei processi e delle sensazioni, che sono principalmente servite alla formazione di ogni linguaggio, contribuiscono a caratterizzarlo, e servono a disporre le lingue sotto due classi principali, di cui l'una s'indirizza agli occhi, e l'altra alle orecchie. Si tratta della formula di scrittura di ogni nazione antica e moderna, bruta, selvaggia e civilizzata; delle variazioni e dei progressi successivi dell'arte; delle cifre o formule di scrittura numerica di ogni popolo.
Essendo stati così presentati gli oggetti generali, si discende all'esame un po' più particolare della formazione di una lingua qualunque (supponendola primordiale) e del suo progresso. Si esamina la sua infanzia, la sua adolescenza, la sua maturità; le cause che concorrono al suo accrescimento, alla sua sintassi, alla sua ricchezza; poi alla sua alterazione, al suo declino, e infine alla sua scomparsa; quelle che la costituiscono in apparenza lingua madre; quelle che la suddividono realmente in dialetti. Si nota ciò che costituisce l'identità di una lingua parlata, fissando il punto dell'epoca in cui essa esiste, e quello dell'epoca in cui sembra che essa non esista più, sebbene non si sia smesso di parlarla, ma con tante alterazioni, ch'essa non pare più assomigliare a quella che era nell'epoca precedente. Si seguono gli effetti della derivazione e della discendenza delle lingue l'una dall'altra. Si discrimina la sequenza delle alterazioni successive che subiscono i termini, nel suono, nel senso, nella figura; il passaggio dalle une alle altre; il loro cammino naturale o bizzarro; le cause delle frequenti anomalie. Si tratta di tutte le forme di accrescimento che una parola primitiva è soggetta a ricevere; delle nuove forze che queste forme addizionali danno alla parola, per le idee accessorie che vi si aggiungono, ad ogni accrescimento ch'essa riceve; del valore significativo di ogni aumentativo e delle sue cause. Si dà la formula generale e particolare della sintassi, con l'esempio di un suono radicale seguito in tutti gli sviluppi che riceve, in un solo senso principale, e in una sola sintassi. Si tratta quindi dei nomi imposti alle cose che non hanno una esistenza reale e fisica in natura, quali gli esseri intellettuali, astratti, morali; le relazioni, le qualità generali, etc. Si prova che questi nomi non hanno altra origine né altro principio di formazione che i nomi degli oggetti esterni e fisici (materia assai curiosa). Di qui si passa ai nomi propri di persone e di luoghi, mostrando ch'essi hanno tutti un valore significativo, tratto dagli oggetti sensibili; indicando le cause della loro imposizione, e le diverse maniere di imporli, praticate dai differenti popoli.
Tornando quindi ai principi generali, e alle regole dell'arte etimologica, si tratta delle radici; del loro primo germe, dei loro rami usciti dal tronco primitivo o primo, e spesso presi essi stessi, nell'uso, per altrettanto primitivi; delle ramificazioni suddivise quasi all'infinito; del loro scarto prodigioso; delle cause delle loro sorprendenti divergenze; della maniera di seguirle e di richiamarle ai loro principi. Si osserva che le radici, che fanno il fondo delle lingue, vi sono esse stesse quasi dovunque inutilizzate, e che la maggior parte di esse non sono che degli arnesi generali che servono a formare le parole in uso; paragonabili in ciò alle concezioni astratte e generali dello spirito umano che, nominando degli esseri che non esistono realmente essi stessi, sono nondimeno impiegati nell'espressione di quasi tutti quelli che esistono in effetti. Si insegna la maniera di applicare l'arte critica all'etimologia. Si tenta di guidare quelli che si dedicheranno alle ricerche di questo tipo nelle strade che essi devono seguire per arrivare dal centro alle estremità, e ritornare dalle estremità al centro; per trovare il filo e la sorgente di una derivazione qualunque; per discernere i caratteri di verità e di falsità, di correttezza e d'errore entro molteplici etimologie date di una medesima parola. Si termina questo Trattato, tracciando il piano e il metodo molto dettagliato per formare un vocabolario generale di tutte le lingue, o una nomenclatura universale per radici. Si fa vedere che un dizionario di questo tipo e di questa forma, lungi dall'essere un'opera immensa e impraticabile, come si potrebbe credere, non solo è possibile senza grandissima pena, ma sarebbe molto utile all'avanzamento e alla facilità della scienza; e che esso è anche divenuto necessario, vista la moltiplicazione dei linguaggi e delle conoscenze umane, le quali arriveranno, crescendo, a tal punto, che, senza questo aiuto, il solo studio delle lingue assorbirebbe, nell'avvenire, un tempo per il quale la vita dell'uomo non sarebbe più sufficiente.
Le osservazioni e i precetti generali sono sostenuti, soprattutto nelle ultime due parti dell'opera, da esempi atti a provarli e a renderli più sensibili. Gli esempi, spesso curiosi, qualche volta piacevoli, addolciscono un po' la secchezza dei ragionamenti astratti, di cui questo libro è pieno. Ogni materia grammaticale è ingrata per sé stessa. Ogni considerazione metafisica è faticosa. Che deve accadere quando siano riunite? E' tuttavia la loro riunione che deve solleticare qui la curiosità del lettore, e che può rendere questo libro utile, nel caso che l'autore sia potuto pervenire a renderlo tale. Vi sono così poche persone che si interessano ad argomenti di questo tipo, e trattati in questo modo, che egli non osa ripromettersi d'essere letto da molta gente. Tutto il divertimento che essi potranno sperare da questa lettura, è quello che si trova a vedere sviluppare, in tutte le sue conseguenze, un sistema nuovo, fondato su principi molto semplici e molto veri; a seguire loro stessi il filo dei legami che congiungono l'una a l'altra cose tra le quali non s'intravede alcun rapporto; a convincersi, nella misura in cui si avanzerà in questa lettura, che alcune proposizioni, la cui singolarità aveva inizialmente fatto prendere per molto azzardate, sono nondimeno giuste e vere; ad avere innanzi agli occhi un quadro naturale e sintetico del linguaggio e dello spirito umano, presentato sotto un nuovo punto di vista.
Sarebbe stato desiderabile che si fosse potuta ricoprire l'aridità della materia con le piacevolezze dello stile. Non vi è alcun argomento che non ne sia suscettibile; e se manca da quelli che sono propri al genere, è sempre colpa dello scrittore. Ma è raro trovarne che siano capaci di mettere in un libro di grammatica altrettanta grazia ed eleganza di quella che vediamo in Quintiliano, e che Giulio Cesare aveva messo, senza dubbio, nel suo trattato Dell'analogia. In quest'opera, si è solamente tentato di essere chiari, e di rendere, con il massimo di nitidezza possibile, delle idee astratte, spesso difficili ad esprimersi; e forse non ci si è sempre riusciti.
Se l'opera ha pochi lettori, in cambio forse troverà parecchi critici. Si risponde in anticipo. A quelli che biasimeranno le traduzioni un po' inesatte di una parola comparata da una lingua all'altra, per esempio, di un indicativo reso con un infinito, che non c'è bisogno di maggior precisione, giacché non si tratta che di considerare il senso assoluto e la forma radicale delle parole. A quelli che giudicheranno che gli esempi citati non sono sempre così ben scelti come avrebbero potuto essere per rendere la proposizione più sensibile, che ciò è talvolta vero, perché gli esempi, che avevano inizialmente offerto allo spirito una verità chiara, non vi ritornano sempre, al momento di scrivere, tali quali li si desidererebbe; e che, stanchi di non poterli ricordare, ci si contenta troppo facilmente di quelli che si presentano al loro posto. A quelli che rifiuteranno le etimologie date, perché ne preferiscono altre, che tale è la loro opinione, differente da quella dell'autore, che è in diritto, come loro, di avere la propria su questa materia, lasciando al Pubblico di decidere sulla preferenza; e che, nel caso in cui l'autore si fosse sbagliato su certe derivazioni, l'applicazione falsa o mal scelta di un esempio particolare non distruggerebbe la verità di una proposizione o d'un principio generale, al quale lo si sarebbe applicato male. A tutti infine, che non si ha minimamente intenzione di rispondere alle critiche che verteranno sui dettagli episodici dell'argomento; ma solamente a quelle che, attaccando i fondamenti della teoria che si stabilisce qui, rovesceranno l'edificio da cima a fondo. Ora, è ciò che non si farà, a meno che non si rompa la catena che congiunge tutte le parti; ciò che non sarebbe opera né di qualche frase, né di qualche pagina, ma richiederebbe un trattato altrettanto esteso, altrettanto conseguente, di questo.
Non v'è che il tempo, il progresso delle conoscenze grammaticali, le osservazioni moltiplicate su un gran numero di linguaggi disparatissimi, che possano confermare o distruggere questa teoria in una maniera perfettamente completa. Si presenta qui un sistema generale. Esso si trova molto bene in accordo con la natura e con le esperienze fatte sulle lingue familiari e conosciute, da dove è tratta la maggior parte degli esempi citati. La natura essendo dovunque la stessa, si ha qualche diritto di concluderne che le stesse esperienze, ripetute su tutt'altro linguaggio, daranno gli stessi risultati. Ma è fatto che resta da verificare. Le persone che saranno versate nelle lingue barbare e del tutto straniere, vedranno un giorno se esse si rapportano, altrettanto bene di quelle che noi conosciamo, a una teoria che pone per principio che la produzione prima delle parole consiste ovunque nel formare delle immagini imitative degli oggetti nominati, e che la conseguenza e lo sviluppo d'un linguaggio qualunque non è se non una conseguenza e uno sviluppo di questo stesso meccanismo, impiegato anche nel caso in cui sembra meno proprio e meno applicabile.
Ma osserviamo che bisogna essersi addentrati molto in profondità nella conoscenza di una lingua barbara, prima di metterla alla prova su questa teoria; che bisogna conoscerne perfettamente le radici, le sorgenti, la composizione ibrida, i processi, le accezioni, le derivazioni ideali e materiali, le analogie e le anomalie, e conoscere anche soprattutto qual è il gioco degli organi familiare a quel popolo; che non bisogna decidersi sulla poca riuscita dei primi tentativi, ma riflettere che non v'è alcuna lingua così povera e barbara, che non sia già mescolata, per derivazione, a una folla d'altri linguaggi, tutti infinitamente lontani dalla loro antica formazione e dalla loro prima origine; che poiché, nelle nostre lingue abituali, noi facciamo tanta fatica a scoprire le radici, quasi tutte inusitate nel discorso, e soffocate sotto la folla dei rami che le coprono, a discernere l'operazione prima della natura in mezzo alla mescolanza confusa degli accessori che la nascondono, ci è molto difficile ricondurre le cose a questo primo punto di semplicità, senza una conoscenza completa del linguaggio esaminato.
Ricordiamoci ancora che con lo stesso disegno è del tutto comune pervenire alla stessa meta con mezzi differenti, giacché diverse strade vi conducono tutte ugualmente; che basta qui che i processi siano ispirati dalla natura, e dello stesso genere, malgrado le varietà che si mostrano nel modo di esecuzione. Dipingere un oggetto mediante l'una o l'altra delle sue qualità apparenti, è sempre volerne tracciare l'immagine. L'uno trarrà il nome roc ["roccia"] dalla sua durezza; l'altro dalla difficoltà di arrampicarvisi. Paragonare la velocità a un uccello o a una freccia, chiamare lo spirito, come in lingua egiziana, "farfalla" o, come in caldeo, "soffio aereo", è sempre paragonare. Tutte le nazioni hanno per procedimento naturale e comune, allorché vogliono marcare il grado superlativo d'una cosa, di raddoppiare lo sforzo nella pronuncia, e di caricare maggiormente la composizione del nome. A questo scopo, gli Americani ripetono due volte di seguito la parola semplice. I Greci e i Latini accrescono la parola, terminandola con un colpo d'organo fortemente appoggiato; ma, con lo stesso disegno di esprimere meccanicamente il grado superlativo, i Greci lo dipingono con -tatos ; i Latini con - errimus o -issimus. Tutti pervengono alla stessa meta mediante differenti specie di mezzi dello stesso genere.
Si arriverà un giorno a comparare tutte le lingue le une con le altre, nella misura in cui saranno ben conosciute; a disporle tutte insieme, e in una volta, sotto gli occhi in una forma parallela. Se mai si realizzerà l'Archéologue universale o prospetto di nomenclatura generale mediante radici organiche, per le lingue che ci sono note, quale l'autore propone, esso sarà un magazzino già pronto per aggiungervi quelle di cui si acquisterà conoscenza; ed è più che probabile che tutte le parole di ciascuna verranno facilmente da sé stesse a disporsi ognuna sotto la sua radice organica, nella sua casella propria e preparata, finché da ultimo si sia giunti al completo su questa materia. Ma non omettiamo di notare, a questo proposito, che i linguaggi vogliono venirvi nel loro ordine successivo di discendenza e di affinità. Una lingua potrà ben all'inizio non sostenere il tentativo, e non prendere posto che con difficoltà nell'Archéologue, perché il redattore non avrà potuto piazzarvi altri idiomi intermedi, che gli sono ancora sconosciuti. Questi gli daranno, dopo la scoperta, il filo continuo della derivazione, il passaggio naturale da una forma all'altra: essi riempiranno, mediante sfumature insensibili, l'intervallo vuoto che separava in precedenza due lingue già conosciute. Così tutto verrà poco a poco a disporsi, in buon ordine, nel glossario generale.
Senza il timore di trattenere troppo a lungo il lettore su un argomento troppo poco praticato (bisogna riconoscerlo) per essere apprezzato da tutti, l'autore aveva intenzione di aggiungere altri due volumi a questi, per dare l'applicazione (indicata nel cap. II) della teoria grammaticale a molte altre scienze, soprattutto alla geografia, per quanto riguarda i nomi dei luoghi, alla mitologia, alla storia dei popoli antichi, a quella delle migrazioni e del trapianto dei popoli. Egli ha cercato, in questa parte dell'opera, la serie dei popoli differenti che hanno successivamente abitato una regione; le tracce del loro linguaggio conservate nei nomi che hanno imposto ai luoghi, le quali hanno quasi tutte una forza significativa conveniente alla loro posizione; i linguaggi anteriori, di cui ogni idioma sussistente è composto in differenti dosi. Egli esamina e spiega i nomi antichi, tanto dei Re che delle Divinità di ogni paese, facendo vedere quanto l'intelligenza del significato proprio di questi nomi spiega naturalmente i fatti storici e gli usi, mostra l'origine delle favole che li sfigurano, e fa svanire il falso meraviglioso; serve, in una parola, a levare quel velo oscuro che la notte dei tempi, l'errore e la menzogna hanno gettato su degli avvenimenti ordinari. La storia delle colonie e del loro percorso sulla superficie della terra tiene dietro da molto vicino alla storia dei linguaggi. Il mezzo migliore di scoprire l'origine di una nazione è seguire, risalendole, le tracce della sua lingua, comparata a quelle di popoli con i quali la tradizione ci insegna che tale popolo ha avuto qualche rapporto. Ci sono anche casi in cui, dalla conformità dei linguaggi, si riconosce, sì da non poterne dubitare, che due popoli hanno un'origine comune, sebbene la storia non insegni niente, e sebbene la lingua madre di queste due sia sconosciuta o perduta.
Questi ultimi volumi, se i primi saranno apprezzati dagli uomini di lettere, sono destinati a spiegare la storia attraverso il significato delle parole e dei nomi imposti alle cose; a verificare ciò che si è detto (§ 199), che l'anatomia della parola avrebbe restituito molto bene, di solito, sia la definizione della cosa nominata, sia la descrizione del fatto relativo; a mostrare che la letteratura conferma, in larga parte, ciò che il ragionamento da solo aveva suggerito.
INDICE GENERALE
(Primo volume)
Discorso preliminare | I-LIII | |
I | Piano generale di quest'opera. Che l'arte etimologica non è un'arte inutile né incerta | 1 |
II | Utilità che si può trarre dall'arte etimologica per le altre scienze | 35 |
III | Sull'organo della voce e sull'operazione di ciascuna delle parti che lo compongono | 100 |
IV | Sulla voce nasale e sull'organo del canto | 153 |
V | Sull'alfabeto organico e universale composto d'una vocale e da sei consonanti | 177 |
VI | Sulla lingua primitiva e sull'onomatopea | 195 |
VII | Sulla scrittura simbolica e letterale | 295 |
VIII | Sulla scrittura numerica per cifre | 463 |
(Secondo volume)
IX | Sulla formazione delle lingue | 1 |
X | Sulla derivazione e i suoi effetti | 86 |
XI | Sull'accrescimento dei primitivi, per terminazione, preposizione e composizione | 173 |
XII | Sui nomi degli esseri morali | 234 |
XIII | Sui nomi propri | 275 |
XIV | Sulle radici | 313 |
XV | Sui principi e le regole critiche dell'arte etimologica | 418 |
XVI | Sull'archéologue o nomenclatura universale ridotta ad un piccolo numero di radici | 489 |