Hilary Putnam è molto probabilmente uno tra i più noti filosofi viventi. Professore emerito ad Harvard, filosofo della matematica, della logica ma anche filosofo e basta. Senza snobismo si confronta da anni con i maggiori esponenti della scuola analitica anglo-americana, ma anche con la tradizione cosiddetta "continentale". Spesso, i colleghi gli rinfacciano una certa disinvoltura nel cambiare idea. Dicono i maligni che quasi non esista libro nel quale non ci sia un "nuovo Putnam". Si tratta di onestà intellettuale? Di un tratto molto liberal e democratico che vede nella fallibilità delle teorie, anche filosofiche, una caratteristica necessaria? Chissà. Fatto sta che anche quest'ultimo libro - Mente, corpo, mondo (tit. or. The Threefold Cord: Mind, Body and World) conferma la regola. Putnam critica posizioni sostenute in precedenza e batte nuove strade per risolvere le grandi questioni filosofiche.
Putnam ne ha fatta di strada dagli esordi alla scuola di Reichenbach e Carnap, alla fine degli anni Quaranta, e dal neopositivismo all'americana appreso da Quine. C'era un tempo in cui era un giovane filosofo che professava maoismo e un realismo filosofico hard. Insieme al logico geniale Saul Kripke sosteneva infatti la teoria del "riferimento diretto", in polemica con Frege e con qualsiasi teoria nella quale il rapporto tra linguaggio e mondo sia mediato da un terzo incomodo.
A questo Putnam filosoficamente e politicamente arrabbiato della fine degli anni Sessanta e dell'inizio dei Settanta se ne è sostituito uno diverso. La grande svolta risale ad una ventina d'anni fa. Abbandonate le velleità di un realismo "senza se e senza ma", il professore di Harvard si è lanciato nella difficile sfida di tenere insieme diavolo e acqua santa, molteplicità delle culture e realtà oggettiva. "Moderazione" diventa la parola d'ordine della riflessione di Putnam. Nuovi santini entrano nel Pantheon personale del filosofo. Prima Kant e Wittgenstein, quello delle Ricerche filosofiche. La grande scuola del pragmatismo americano dell'inizio del XX secolo si fa largo. Il pragmatismo soft di William James e John Dewey però. Peirce no, troppo metafisico, secondo lui.
Con Ragione, verità e storia, pubblicato nel 1981, inizia il cammino del nuovo Putnam, quello che arriva fino all'ultimo Mente, corpo, mondo. Alla ricerca di una "terza via" praticabile tra la Scilla di un realismo metafisico troppo rigido per giustificare la dinamicità e la storicità dei concetti e la Cariddi di relativismo e ermeneutica troppo morbidi, che non riescono a dar conto dell'oggettività e della fondatezza della conoscenza umana. Compare sulla scena il "realismo interno", un realismo dal volto umano, come dirà altrove Putnam. La verità non sarà più adequatio rei et intellectus, ma giustificazione idealizzata, secondo l'insegnamento pragmatista e l'antirealismo semantico del filosofo di Oxford Michael Dummett. Il mondo è ritagliabile in molti modi, non esistono oggetti reali di per sé, ma sono funzionali al modo in cui le culture li selezionano. E qui l'eco jamesiana si fa ancora più forte.
Per molti versi, il "realismo interno" di Putnam è un nipotino del "realismo empirico" di kantiana memoria. Soltanto riveduto e corretto alla luce della "svolta linguistica", in particolar modo quella del secondo Wittgenstein, e della svolta pragmatica, di James.
Anche in Mente, corpo, mondo, Putnam è alla ricerca di una maniera ragionevole per render conto dell'esperienza senza cadere nei tranelli della metafisica, né quella hard né quella soft. Si tratta di evitare, sostiene Putnam nelle prime righe del libro, quello che fanno spesso i filosofi ossia gettare il bambino con l'acqua sporca, per trovare "una via intermedia tra la metafisica reazionaria e il relativismo irresponsabile". Ecco che allora Putnam invita nuovi eroi il filosofo inglese John Austin, ma anche Edmund Husserl, maestro di Heidegger e padre della fenomenologia ad accompagnarlo nella difficile navigazione tra le due sponde pericolose. In questo volume, dal linguaggio ci si sposta alla percezione. Putnam si occupa di "filosofia della percezione": come accade che noi percepiamo il mondo? E, soprattutto, come possiamo giustificare questo fenomeno senza postulare entità intermedie? E la via scelta da Putnam, va detto, non è una scorciatoia. Piuttosto ripropone grandiose questioni della filosofia dei primi anni del Novecento. è possibile un empirismo senza psicologismo? Era una delle domande della fenomenologia di Husserl che tornano in queste pagine. L'obiettivo è quello di non perdere la realtà esterna e a tempo stesso di non cadere in un realismo metafisico. L'approdo di Putnam è a una posizione che battezza "realismo naturale", recuperando una definizione di James. Un "realismo ingenuo", senza l'ingenuità di credere che esistano le cose in sé da percepire. Tra le pagine di quest'ultima fatica di Putnam risuona l'invito di Husserl "alle cose stesse" e all'abbandono del naturalismo metafisico.
È questa capacità di prendere il buono ovunque si trovi e di riconoscere il debito uno dei meriti principali di Putnam. E non è poco in un'epoca dove i diversi stili filosofici fanno molta fatica a dialogare.
Hilary Putnam, Mente, corpo, mondo, il Mulino, 2003, euro 19.