John R. SearleIL CERVELLO È UN COMPUTER DIGITALE? |
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John R. Searle (Denver 1932) è difficilmente classificabile negli scaffali della filosofia del Novecento. Scorrendo i titoli dei suoi libri si rischia sempre di sbagliare. Atti linguistici (ed. or. 1969) lo collocherebbe accanto al suo maestro John Austin tra gli oxoniensi del "linguaggio ordinario". Dell'intenzionalità (ed. or. 1983), farebbe pensare alla fenomenologia husserliana, ma a sfogliarlo si sbaglierebbe a calcolarlo tra i cosiddetti "continentali". Ci sono i suoi studi sulla società: La costruzione della realtà sociale (ed or. 1995), per esempio, ma si può parlare di un filosofo della società? Ci sono poi tutti i suoi lavori sulla mente, la coscienza con le propaggini sull'Intelligenza Artificiale (d'ora in poi IA). Ma è possibile considerare Searle come un semplice filosofo della mente? Soprattutto nelle sue opere più recenti tutti questi temi rimandano l'un l'altro in una sintesi che a volte spiazza, ma certamente dà luogo ad un pensiero organico.
L'articolo qui tradotto integra e sviluppa uno dei grandi temi trattati da Searle negli anni Ottanta: la critica filosofica all'IA. In un celebre articolo del 1980 "Minds, Brains and Programs" (tr. it. in L'io della mente, Adelphi, ed. or. 1985) - il filosofo americano mette a punto un argomento contro l'IA, o meglio, contro quella che chiama la versione "forte" dell'IA, che avvia a una lunghissima discussione sul tema. L'"argomento della stanza cinese" - che Searle riassume anche nelle pagine che qui presentiamo - dimostrerebbe in sostanza che non è possibile identificare la mente con un programma di computer, quanto si voglia complesso, come preteso dai sostenitori della IA forte". Searle dimostra che saper operare con dei simboli - nel caso particolare degli ideogrammi cinesi - in virtù di un manuale di regole non significa comprendere e parlare la lingua cinese. «La sola manipolazione dei simboli non basta di per sé a garantire l'intelligenza, la percezione, la comprensione, il pensiero e così via...». La discriminante per l'intelligenza, sostiene Searle, è la semantica. I calcolatori lavorano semplicemente su simboli privi di significato. Non conoscono e non associano nessun senso ai segni che manipolano. Le menti sì. «Che si tratti di una partita a scacchi o di una lettera d'amore la macchina non si renderà mai conto dei "pensieri" che gli sono attribuiti dall'esterno». Così si conclude l'"argomento della stanza cinese" e subito si susseguono le molte reazioni critiche (celebre quella di Douglas Hofstadter, tradotta nel nel volume citato).
Nel suo articolo del 1990, che qui presentiamo in traduzione, Searle indirizza le sue critiche a un'altra domanda sottesa a molti studi riguardanti l'IA: se il cervello sia o meno un computer digitale. La generalizzazione è evidente:la questione non è più, infatti, se la mente sia un software, ma piuttosto se i processi cerebrali siano suscettibili di calcolo. Come si vedrà Searle identifica con questa tesi una peculiare accezione del cognitivismo. L'articolo si conclude con una risposta negativa. Scrive Searle nelle ultime righe: «Non è possibile "scoprire" che il cervello o qualsiasi altra cosa sia intrinsecamente un computer digitale, sebbene sia possibile attribuirgli un'interpretazione computazionale così com'è possibile per qualsiasi altra cosa». La chiave del discorso è in quell'"attribuirgli un'interpretazione". E' questa la questione teorica di fondo che pone Searle. Come nasce la capacità di significare il mondo? La soluzione searliana in termini di "intenzionalità" può non convincere, ma il problema posto dal filosofo americano rimane.
Il testo che pubblichiamo, tradotto da Flavio Sorrentino, rispecchia l'ultima bozza dell'articolo di J. R. Searle, Is the brain a digital computer?, in «Proceedings of the American Philosophical Association» 64, 3 (1990), pp. 21-38. L'ultima bozza dellintervento precedente dedicato al chinese room argument (J. R. Searle, Minds, brains, and programs, in «Behavioral and Brain Sciences» 3, 3 (1980), pp. 417-457), acquisita mediante OCR, è reperibile in linea presso la collezione di pre-prints della rivista «Behavioral Brain Science»
Alessandro Lanni