gennaio
2003


Anatole Pierre Fuksas

NELLA TIPOGRAFIA DEL SAPERE

Professore di storia della cultura alla Cambridge University, autore di volumi cardinali sul rapporto tra cultura e società in età rinascimentale e moderna, Peter Bourke ha recentemente sistematizzato il suo punto di vista su La Storia sociale della conoscenza nell’omonimo volume (2000) recentemente tradotto in italiano (Bologna Il Mulino, 2002). la peculiarità di questo lavoro consiste nell’approccio per tagli di tipo tematico, esito del programmatico rifiuto di un modello progressista inteso ad individuare un processo di ‘miglioramento’ della conoscenza umana del mondo attraverso le epoche storiche. Bourke organizza i dati, in grande misura arcinoti, secondo un approccio più complesso, in un certo senso reticolare, senza mai tirare le fila in funzione di conclusioni generali, fatto che da una parte evidenzia un punto di vista problematico, attento a non forzare il dato storico, ma dall’altro vanifica lo scopo di una compilazione sistematica all’interno della quale risulta spesso difficile stabilire nessi tra il dettaglio e il sistema.

La prospettiva orizzontale sulla quale Bourke distribuisce i processi di organizzazione sociale del sapere in epoca moderna si compone di otto percorsi principali. Il primo delinea i soggetti sociali del sapere, inquadrando i protagonisti della conoscenza in un’ottica di lungo periodo, dagli intellettuali nel medioevo di Jacques Le Goff alla nascita ed affermazione di un’intellighentzia europea tra sette e ottocento, con manierati tagli di genere ‘al femminile’ e scorci su ‘culture altre’, quali l’islam e la Cina. Le scansioni essenziali identificate da Bourke in questo campo si rivelano piuttosto convenzionali e delineano di fatto un percorso di moltiplicazione dei soggetti della conoscenza accompagnato da un meccanismo di frammentazione dei loro gruppi di appartenenza nel corso dell’età moderna.

Alla moltiplicazione delle professioni legate all’editoria fa da pendant la specializzazione dei campi del sapere, la distinzione tra scrittori, professori universitari e chierici ancora legati ad uno scenario cortese, fina alla sintesi dialiettica settecentesca, dunque alla ricomposizione illuministica di un’identità comune degli intellettuali. Tra i limiti di questa prospettiva piuttosto convenzionale, soprattutto emerge l’esclusione dei percorsi di quel sapere ‘popolare’ troppo spesso catalogato come marginale, trattato a più riprese da Camporesi e Ginzburg, che molto specco interferisce in termini dialettici con i modelli di organizzazione del sapere ‘ufficiale’.

piuttosto convenzionale è anche lo scenario disegnato da Bourke a proposito del secondo percorso, quello delle istituzioni della conoscenza, improntata al principio ciclico formulato da Weber nei termini della ‘routinizzazione’(‘Veraltäglichung’). «i gruppi creativi, marginali e informali di un periodo si trasformano regolarmente nelle organizzazioni formali, tradizionali e conservatrici della generazione immediatamente successiva o di quella seguente», osserva Bourke, verificando il punto di vista di Bourdieu e Veblen in ordine ad un percorso di successive translazioni dei centri di innovazione della conoscenza dalle università, alle accademie, alle società scientifiche, certo contemplando anche fenomeni retroattivi.

Tra i tagli più originali proposti da Bourke c’è certamente quello relativo alla geografia della conoscenza, improntato ad una proiezione storica dei meccanismi di circolazione globale del sapere troppo spesso celebrato come peculiarità esclusiva del XX anzi del XXI secolo. Bourke delinea sapientemente gli estremi di una repubblica delle lettere sovranazionale, sicuramente superiore alle differenze linguistiche, ma molto spesso anche a quelle religiose. Certo la dislocazione del sapere, dei suoi attori e delle sue istituzioni è variabile e regolata da meccanismi di sperequazione tra centri e periferie, tra le grandi città come Roma, Parigi, Londra e Amsterdam, che fungono da centri di elaborazione della conoscenza, e il resto del mondo che rappresenta piuttosto il territorio di ispezione, prospezione ed esperienza, ovvero di raccolta di quelle informazioni che saranno elaborate nei nodi centrali della rete geografica. Criticando il modello diffusionista centro-periferia, Bourke illustra però come la circolazione delle informazioni non si dimostri necessariamente centrifuga, anzi preveda sistemi di retroazione, se non addirittura più complessi meccanismi di distribuzione reticolare. Anche se in epoca moderna i processi di elaborazione in parallelo sui nodi periferici si riveleranno raramente sufficienti a trasformare le conoscenze raccolte in un vero e proprio sistema di sapere e tantomeno in un prodotto comunicabile.

Agli aspetti della trasformazione del sapere tramite processi di organizzazione e controllo, dunque della sua diffusione mediante meccanismi di commercializzazione e acquisizione Bourke dedica i quattro tagli successivi della sua panoramica. Difficilmente riscontreremo in queste sezioni la profondità investigativa dei ragionamenti di Foucault sui processi di selezione, adattamento ed esclusione. Piuttosto, Bourke propone uno scenario panoramico sui rapporti tra la conoscenza il sapere ed il mercato, soprattutto incentrato sul controllo istituzionale delle informazioni, la loro organizzazione libraria, in particolare tipografica, la loro commercializzazione mediante la stampa. Particolarmente pertinenti in questo senso i ragionamenti sull’organizzazione dei meccanismi e degli istituti burocratici, sulla nascita della statistica, sulla mappatura dello stato in termini geografici, geometrici e proprio per questo sociali, come hanno dimostrato a più riprese Farinelli e Dematteis. Piuttosto manierati e forse troppo condizionati dall’attualita si rivelano invece gli scorci sulla nascita della proprietà intellettuale, sullo spionaggio industriale e forse troppo schematico si rivela il meccanismo che identifica una traslatio della centralità editoriale da Venezia nel Cinquecento, ad Amsterdam nel Seicento, a Londra nel Settecento.

Indipendentemente dal dettaglio dei singoli argomenti, che certo si dimostrano sempre soggetti a schematismi semplificativi nel contesto di trattazioni così generali, il limite superiore del lavoro di Bourke si direbbe consistenre nel fatto che la sua indagine sociologica per tagli problematici non pergiunge ad una vera e propria ‘critica della conoscenza’, ovvero ad una discussione di cosa s’intenda o cosa si sia inteso per ‘sapere’ attraverso la modernità. Ne scaturisce una prospettiva attraente, ma anche ammiccante, che mischia le carte senza modificare la sostanza del gioco. La sensazione più generale è che una ‘sociologia della conoscenza’ difficilmente possa divoziare da una ‘critica della conoscenza’, dagli interrogativi filosofici su cosa significhi effettivamente conoscere, dagli strumenti filologici che consentono di individuare i limiti testuali delle concezioni del sapere che allignano tra le righe del documento storico.


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