Charles de BrossesLE BASI FONOLOGICHE DELLA CONOSCENZA |
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Il Traité de la formation méchanique des langues et des principes physiques de l'étymologie (1765), del magistrato digionese Charles de Brosses (1709-1777), costituisce il tentativo più sistematico, condotto dall'illuminismo francese, di fondare una linguistica generale su basi naturalistiche e sensistico-materialistiche. Elaborato quasi in osmosi con l'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert (1751-1765), che ne attinge i manoscritti preparatori in una decina di articoli, fu considerato sin dall'Ottocento come un antesignano della linguistica comparata, per il fatto di aver imposto l'idea di un'origine naturale del linguaggio, e quindi di una relativa regolarità dell'evoluzione fonetica. La sua originalità si deve alla confluenza di due linee distinte, e in parte contraddittorie, nel panorama della cultura settecentesca: da un lato, lo storicismo filologico ed erudito di matrice umanistica, custodito negli ambienti aristocratici ed orgogliosamente provinciali della città di Digione, che gli trasmettono, attraverso autori come Scaligero (1599), Vossio (1661) e Wachter (1737), il culto degli studi linguistico-etimologici; dall'altro, il nuovo razionalismo filosofico, ormai da tempo egemone a Parigi, nella nuovissima e scintillante veste sensistico-empirista, tutto volto alle conquiste delle scienze naturali e proiettato, sulla linea di Locke (1690) e Condillac (1746), in indagini di tipo "cognitivo". Il connubio tra questi due filoni, e l'ambizione di comporli in un quadro sistematico, entro il quale la filosofia possa ambire alla contemplazione delle lingue, e l'etimologia alla posizione di scienza, è il merito principale riconosciuto a De Brosses dalla gran parte della critica successiva.
Con il Traité, De Brosses punta a risolvere il problema cardinale che si oppone all'istituzione della linguistica come scienza: quello di spiegare l'origine e l'essenza del linguaggio senza ricorrere all'intervento divino. Egli lo risolve, introducendo l'ipotesi di una lingua primitiva di origine naturale che, attraverso dispositivi segnici non presupponenti la riflessione umana, primo tra i quali il mimetismo fonetico, media ed articola il passaggio dalla naturalità alla cultura, garantendo un sostrato non miracoloso alla formazione dei segni arbitrari. Il termine arbitraire è all'epoca di gran moda, designando non solo l'immotivazione del rapporto significante-significato, ma, anche, la sostanziale irrazionalità, e quindi imperscrutabilità, della permutatio litterarum, che descrive la parentela tra le lingue. L'insieme del linguaggio non appare sorretto da leggi certe, e ciò costituisce motivo di discredito per le discipline che se ne occupano. In particolare, il paradosso di una "convenzione linguistica" che ha bisogno a sua volta del linguaggio per essere stipulata, non sembra aggirabile altrimenti che mediante spiegazioni di tipo miracoloso. Con la sua langue primitive De Brosses restituisce il campo della "linguistica generale" ad una dignità di scienza: poiché il segno ha avuto origini imitativo-naturali, e non è scaturito dall'arbitrio umano o divino, il cambiamento linguistico deve esibire a sua volta l'imperfetta regolarità che è caratteristica dei fenomeni naturali. Il linguaggio non è essenzialmente arbitrario: vi fu una ragione per la sua origine e ve ne furono altre per la sua evoluzione; può esistere dunque una scienza che le indaghi e le spieghi.
Volentieri accantonato, in tempi di reviviscenze idealistico-cartesiane, per l'ardito materialismo della sua teoria del segno, che costituisce un recupero, sulla scorta di Leibniz, della più antica dottrina stoica (tramandata da Agostino nel De dialectica, VI) e ancor più nettamente della linguistica arcaica ed eraclitea (confutata da Platone nel Cratilo), il Traité si inquadra nel primitivismo palingenetico del "ritorno all'origine" che contraddistingue l'età delle rivoluzioni americana e francese, età lungo la quale assurge a posizioni egemoniche su scala europea (fino all'avvento della linguistica comparata tedesca negli anni 1815-1830), solidarizzando in particolare, sul terreno del diritto, con il recupero dello ius naturale, che permette di scalzare l'assolutismo monarchico fornendo fondamento giuridico alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (anch'esso ricacciato nell'ombra a partire dalla Filosofia del diritto di Hegel, 1821). Ci sembra interessante, oggi che la questione dell'arbitrarietà, così del linguaggio come del potere (ed anzi del potere in quanto linguaggio), appare oltremodo attuale, riproporre la lettura del suo Discours préliminaire, che offre un prototipo di naturalismo linguistico-cognitivo non cartesiano, ma illuministico, e non idealistico-logicista, ma sensistico-materialista, intimamente votato alla dimensione storico-evolutiva. Anche la recente rifioritura degli studi sui limiti dell'arbitrarietà e sull'iconismo linguistico può reperire in esso un archetipo eccellente.
La traduzione italiana è esemplata su Charles de Brosses (1709-1777), Traité de la formation méchanique des langues et des principes physiques de l'étymologie, Paris, Saillant, 1765, volume I, pp. I-LIII. L'edizione originale è disponibile su internet in formato PDF all'indirizzo http://gallica.bnf.fr.
Luca Nobile