Marzo
2005


Giovanna Santini

RIMA E MEMORIA
Data d'immissione:
24 Marzo 2005

1. I rimari trobadorici

Nella quinta parte del trattato di poetica noto con il nome di Leys d’Amors, Guilhem Molinier, il giurista incaricato di redigere l’opera dal Consistori del Gay Saber, mostra praticamente come chiunque, «cant que sia durs e rudes», possa procedere nella composizione di versi.

Il capitolo, contenuto in versione completa solo nella redazione in prosa delle Leys risalente agli anni 1329-1338 (ed. Gatien-Arnoult 1841-1843; per quanto riguarda la recensio e la tradizione manoscritta dell’opera cfr. Fedi 1999 e 2000) e in verità poco studiato, è interessante per due motivi: primo perché ci dà informazioni, sebbene relativamente autorevoli, sulle modalità del comporre poesia; secondo perché fornisce una vera e propria ricetta per reperire le parole da mettere in rima. Partiamo da questo secondo punto. Posto che si voglia fare una canzone sulle rime aris, ona, ici, ori, dice Guilhem Molinier, per prima cosa si deve ricorrere al becedari, ossia all’alfabeto, «seguir totas las letras per orde» e vedere quali parole con quelle terminazioni si possono trovare che comincino con a, poi con b, c e così via. Se non si sono trovate le parole che servono («pauzem que tu yest tan durs») si può procedere in altro modo, ossia si parte sempre dalla a e dopo di essa si pone la b e la terminazione rimica (abori), ovvero dopo b si pone una lettera che può trovarsi tra b e o (ablori), etc., e poi ancora si prova con c dopo a (acori), e via via con tutte le lettere dell’alfabeto finché non si trovano parole di senso compiuto. Altra maniera, non molto dissimile, è quella di porre davanti alla terminazione una alla volta tutte le lettere dell’alfabeto (aona, bona, Narbona, escona, tacona, etc.) cercando forme che vogliano dire qualcosa. Se con questi tre espedienti non si fossero trovate tutte le parole che servono, si dovrà fare attenzione alle forme pronunciate nel parlare e nel caso chiedere consiglio a chi se ne intende.

Il carattere un po’ naïve di questa spiegazione, del resto paragonabile a quelli che sono oggi i manuali for dummies, ci fa presumere che i veri poeti non procedessero in questo modo; tuttavia, anche indirettamente, essa ci fornisce delle indicazioni fondamentali a proposito del trobar rims: l’inventio è concepita come una ricerca sistematica affidata in gran parte alle capacità mnemoniche e associative, mentre non sono menzionati rimari o altri sussidi scritti, né è fornito un elenco di forme come è invece nel Donatz proensals, trattato di grammatica e di metrica provenzale redatto da Uc de Saint-Circ verso la metà del XIII sec.; d’altra parte con «aquels que s’entendo», debbano o no essere identificati con i poeti, si fa riferimento ad una competenza specifica che riguarda la conoscenza di rime e di parole in rima. E si tenga presente che, come si vedrà più avanti, in un altro punto delle Leys si spiega che ingrediente fondamentale per poter scrivere versi è la lettura e la memorizzazione dei testi dei poeti antichi.

Proprio a partire dall’eccellenza attribuita, nella selezione rimica, alle capacità mnemoniche e associative e alla competenza specifica degli “intenditori” credo vada misurato il costituirsi del sistema rimico della poesia romanza delle Origini; in altre parole, il fatto che all’analisi di rime e di rimanti la poesia romanza si profili come sistema, in modo tale che la scelta di una rima determina la definizione di un “ambiente semiologico” e la formazione di un orizzonte d’attesa (per questi concetti cfr. Antonelli 1977 e 1998), è una questione che interessa oltre che il livello linguistico e poetico anche quello cognitivo.

Sfogliando il Rimario della lirica trobadorica (Beltrami - Vatteroni 1988-1994) e l’Omofonario contenuto nelle Concordanze della lingua poetica italiana delle Origini (Clpio), si ha esattamente la medesima impressione: su poche terminazioni rimiche si concentra un numero altissimo di occorrenze, ossia tendenzialmente nella lirica trobadorica come in quella italiana, di cui sono testimoni i tre grandi manoscritti duecenteschi, si assiste ad una continua ripetizione delle stesse rime, spesso anche coincidenti tra i due ambiti linguistici. Se ci si addentra poi nell’analisi dei rimanti impiegati per ogni singola rima, l’impressione che se ne riceve è del tutto simile: molte occorrenze concentrate su poche forme. Se è vero che per ogni rima di quelle più comuni si possono produrre numerosissimi rimanti, è pur vero che tendenzialmente la scelta converge sempre sulle medesime forme.

A queste fanno da corollario altre due considerazioni: attraverso indagini settoriali si è potuta riscontrare la persistenza, in testi anche non in relazione tra di loro, di determinate associazioni di rime e di rimanti (si veda al proposito oltre ad Antonelli 1977 e 1998 anche Stefanini 1971: 374 e, in una valutazione estesa a tutta la poesia europea, Zumthor 1987: 199-200), come ad esempio la coppia di rime ore - ente (per cui cfr. Afribo 2002: 5-7) o la coppia di rimanti cuore : amore.

Come spiegarsi questa evidentissima monotonia? Le prime spiegazioni vengono dallo studio della lingua. Nel repertorio rimico dei trovatori ricorrono più frequentemente tre gruppi di rime: quelle in cui si aggregano classi morfologiche e grammaticali diverse (per convergenza nello stesso esito di diverse desinenze latine) come an o en, quelle desinenziali e quelle suffissali; è ovvio che la loro grande frequenza dipende dalla facilità di reperimento nella lingua di parole con queste terminazioni (la frequenza di determinate parole con le stesse terminazioni è dovuta a fatti costituzionali della morfologia delle lingue romanze, dato che la formazione delle parole si fonda in gran parte sull’uso di suffissi e che la coniugazione verbale si fonda sull’uso di desinenze).

Non a caso nelle Leys d’amors proprio le rime desinenziali ar e ir vengono prese come esempio di rime troppo comuni e per questo non molto gradevoli:

encaras deu hom gardar si las dichas paraulas poyria hom acordar en rima. que fos mays bela e que acom mays cara. quar aytals rimas en. ar. et en .ir. son de las plus comunas rimas. quom puesca trobar. per la gran habondansa daquelas. per que trop no son graciozas. quar on mens es de la causa. mays es cara e preciosa. e on mays nes de la cauza. mens es cara e mens preciosa. ans es mesprezada soen la cauza e per vil tenguda (Gatien-Arnoult 1841-1843: 366).

Lo stesso si dice poco dopo a proposito delle rime en e ay, e poi ancora di ura. Una rima come en è molto frequente perché vi possono confluire molte classi morfologiche compresa la serie degli avverbi in -ENTE; e così pure, ad esempio, la rima or in cui confluiscono i suffissati astratti in -or e i nomina agentis formati con il suffisso -dor. Inoltre, la produttività in rima di alcune terminazioni andrà messa in rapporto anche con la possibilità di formare rimanti adattabili al contesto e al registro della poesia cortese (vedi appunto i suffissati astratti), dal momento che, attraverso l’individuazione di una funzione semantica, i suffissi definiscono dei settori lessicali.

Discorsi simili si possono fare a proposito dei rimanti: l’alta ricorrenza in sede rimica di alcune parole dipenderà in primo luogo dalla frequenza d’uso di queste nella lingua, ed in particolare nel settore della lingua individuato dalla lirica cortese; in secondo luogo anche dall’adattabilità di alcune parole più di altre all’ambito semantico della lirica (si pensi in tutte e due i casi al rimante amor). Per quanto riguarda il ripetersi delle medesime associazioni di rime e di rimanti si dovrà certamente tenere in conto il puro calcolo probabilistico (data l’alta frequenza di alcune rime e rimanti è conseguente l’alta probabilità che queste rime e rimanti si trovino in associazione tra di loro) ma varrà anche in questo caso il livello di pertinenza di alcune associazioni più di altre rispetto alla semantica cortese. Ad esempio, nel caso del binomio amore : cuore è evidente che sulla costante coesione dei due rimanti incide la forza della loro complementarità semantica, capace di travalicare anche il limiti imposti dalla norma linguistica.

D’altra parte dal punto di vista storico e in modo specifico della storia poetica risulta ormai evidente che il rafforzamento nell’uso di rime e parole in rima è determinato dall’effetto modellizzante della tradizione (non solo romanza). Ma il riuso è fortemente influenzato anche dalla sedimentazione di elementi contenutistici in relazione all’impiego di alcune rime e rimanti; e questo secondo punto è ancor più evidente se si ragiona in termini di costellazioni di rime e di rimanti dal momento che è stretta la correlazione tra serie lessicali e campi semantici (Menichetti 1993: 588). Si pensi solo a come la storia mitizzata di Elena e Paride, attraversando la tradizione poetica, viene condensata nell’impiego costante di alcuni rimanti e costellazioni: i binomi rimici Troia : gioia (fr. Troie : joie e pr. Troia : joia) e Aléna : pena (fr. Eleine : peine e pr. Elena : pena), e poi ancora i binomi equivoci Paro : paro e Pari : pari (Cfr. Comes 1998). Del resto, che alcune combinazioni rimiche siano in qualche modo storicamente determinate è ampiamente dimostrato da Antonelli ed è verificabile anche al di fuori dell’ambito da lui esaminato (Antonelli 1977 e 1998).

Il prevalere di alcune terminazioni rimiche e di alcuni rimanti e la ricorrenza di alcune associazioni rimiche e di rimanti può essere analizzata anche dal punto di vista cognitivo. Per capire la formazione e l’evoluzione del sistema rimico è necessario addentrarsi nei processi di memorizzazione, rievocazione e produzione del lessico, ossia indagare come si struttura il «lessico mentale». Per quanto riguarda l’alta frequenza con cui occorrono in tutta la poesia romanza determinate rime e parole in rima, essa si può spiegare con il fatto che nel momento in cui si richiama alla memoria una parola con determinate caratteristiche fonetiche (data una terminazione rimica) dovrebbero intervenire fattori simili ad alcuni di quelli che si osservano più in generale nei processi di comprensione e produzione di parole (sperimentalmente provati in compiti di decisione lessicale e di pronuncia, per cui cfr. Cacciari 2001: 193-216).

Un primo fattore importante è quello determinato dall’effetto frequenza (EF):

Alla base dell’interpretazione tradizionale dell’EF è il concetto che l’aver incontrato più volte un particolare stimolo ha come conseguenza una maggiore familiarità, e quindi la sua rappresentazione codificata in memoria a lungo termine diventa disponibile più facilmente o più facilmente discriminabile da altre rappresentazioni simili (Colombo 1993: 161).

Questo effetto si verifica in relazione non solo alle parole in quanto unità ma anche alle parti in cui è scomponibile una parola (gruppi di lettere, radici, affissi, etc.): nella selezione rimica le parole con terminazioni molto frequenti dovrebbero essere classificate più facilmente e quindi determinare un incremento d’uso di rime corrispondenti a terminazioni di largo impiego nella lingua (Cacciari 2001: 194).

Altro fattore di facilitazione nell’accesso al lessico è costituito dalla regolarità, ossia dalla conformità della parola alle regole o al «pattern prevalente» di una lingua (cfr. Cacciari 2001: 195 che però si riferisce ad altro tipo di regolarità): questo genera nell’ambito rimico la differenza di distribuzione tra rime facili, proprio perché corrispondenti a terminazioni più comuni, e rime difficili, normalmente aspre proprio perché corrispondenti a terminazioni irregolari e inconsuete (ma cfr. Henderson 1982).

Per quanto riguarda la ricorrenza di serie di parole rimanti si può ragionare sul rapporto tra sistemi di organizzazione della memoria e scelta di lemmi. Si può presumere che la rievocazione di una parola rimante a partire da un’altra già individuata, oppure la selezione di insiemi di parole rimanti, implichino processi di attivazione della memoria avvicinabili a quelli che sono stati studiati sperimentalmente per coppie di parole associate, in test come quello provato da Graf e Schacter. Questo esperimento consisteva nel presentare a dei soggetti varie coppie di parole, alcune semanticamente associate (come mela - matura, delicato - fragile, etc.) altre invece solo strumentalmente accoppiate (come finestra - camicia, prigione - strano, etc.). I soggetti dovevano inizialmente comporre delle frasi impiegando le coppie di parole (“Egli mangiò la mela matura”); dopo un’ulteriore lettura delle coppie di parole venivano sottoposti a un test di completamento di parola e a un test di rievocazione guidata. Nel test di completamento si chiedeva di continuare la trascrizione di una parola a partire da alcune lettere suggerite che appartenevano al secondo membro di ciascuna coppia, una volta mostrato il primo membro (mela - mat ). Nel test di rievocazione si presentava il primo membro di ciascuna coppia e si chiedeva di rievocare il secondo (mela - ). L’esperimento portava a due risultati interessanti anche dal punto di vista dello studio delle rime: sia le associazioni presenti prima dell’esperimento sia quelle che si formano nel corso dell’esperimento influenzano l’esito del test di completamento; i due canali attraverso cui avviene la rievocazione, quello della memoria implicita e quello della memoria esplicita, restano sostanzialmente separati (Cfr. Graf e Schacter 1985; l’esperimento è descritto in Benjafield 1992: 147-148).

Si può ragionare sui rimanti in quanto parole collegate a diversi livelli: la condizione preliminare fondante il concetto di rima è che vi sia un legame fonico tra le parole; l’omofonia si stabilisce nella parte finale della parola che è anche il luogo in cui in molte lingue si definisce l’aspetto morfologico, conseguentemente alcuni rimanti si trovano ad essere morfologicamente connessi (suffissati, verbi, etc.); l’associazione in rima può generarsi tra parole già semanticamente correlate (si pensi a coppie come gioia : noia), tanto più se si considera che nella classe morfologica in alcuni casi si riflette un aspetto semantico (come signoraggio : servaggio, servaggio : lignaggio). Questi sistemi di connessione possono considerarsi attivi nella memoria semantica, cioè al livello del bagaglio di conoscenze di ogni parlante una determinata lingua, sono preesistenti all’esperienza poetica in quanto già necessari alla formazione di un patrimonio concettuale e lessicale. A questi sistemi di connessione si aggiunge un ulteriore livello di associazione che è relativo specificamente all’esperienza poetica, in quanto determinato in seguito al fatto stesso che due parole si trovano a rimare insieme. Se volessimo paragonare l’esperimento appena illustrato con l’esperienza poetica, potremmo immaginare di sostituire le coppie di parole con delle coppie di rimanti, mettendo al posto delle coppie di parole semanticamente associate delle coppie di rimanti morfologicamente e semanticamente associati e al posto delle coppie di parole non associate delle coppie di rimanti non associati ma presenti all’interno di un determinato componimento: la condizione del poeta nel momento in cui sceglie i rimanti delle poesie che sta per comporre sarebbe paragonabile a quella del soggetto sottoposto al test di completamento (in cui però ad essere suggerite sono le ultime lettere della parola e non le prime), considerando come equivalente alla condizione di preattivazione data dalla preventiva osservazione delle coppie di parole alla condizione di lettura e composizione di altri testi in rima. Ci si aspetterebbe che il poeta tenda a ricreare delle coppie di rimanti già esperite sia perché formate da parole comunque associate al livello linguistico sia perché comunque associate in altri testi da lui letti o composti. E in effetti questo risultato presunto è coerente con ciò che si osserva a proposito della ricorrenza di coppie e costellazioni di rimanti. Quello che risulta interessante dall’esperimento di Graf e Schacter è che soggetti affetti da amnesia avevano un rendimento simile ai soggetti normali nel test di completamento, mentre il loro rendimento risultava alquanto inferiore nel test di rievocazione, quindi i soggetti affetti da amnesia conservano una capacità di apprendere al livello della memoria implicita ma non a quello della memoria esplicita. In generale dagli esperimenti condotti su pazienti amnesici si è osservato che «il ricordo dell’esperienza non è necessario perché l’esperienza si traduca in qualcosa di utile»: questi pazienti potevano rievocare figure e parole mostrate loro in precedenza con l’aiuto di frammenti di queste e apprendere velocemente senza esserne consapevoli (Baddeley 1990: 237).

L’insieme di questi risultati, rapportati all’esperienza poetica, ci portano a considerare il riuso delle stesse associazioni di rimanti come la condizione in realtà più economica dal punto di vista cognitivo, indipendentemente dalla consapevolezza della rievocazione. Ovviamente la differenza fondamentale tra gli esperimenti condotti in laboratorio e la situazione naturale del comporre è che nel secondo caso il poeta può scegliere anche dopo una meditazione lunga, in poche parole non è costretto a scrivere la prima parola che gli viene in mente. Si potrà anzi supporre che l’attivazione della memoria esplicita consenta invece l’esclusione di alcune associazioni qualora fossero riconosciute come già sperimentate.

In sintesi la selezione di rimanti è soggetta agli effetti, osservati in generale nella produzione del linguaggio, determinati dalla vicinanza semantica, morfologica e anche ortografico-fonologica tra le parole. Si può immaginare che una parola rimante possa funzionare da stimolo per una seconda parola da porre in rima qualora ci sia un’associazione semantica, ossia che una seconda parola in rima sia facilmente evocata sulla base di un legame semantico, sia che si tratti di un legame esistente nel linguaggio comune sia che si tratti di un legame attivato in altri componimenti poetici. Da alcuni esperimenti è stato provato che l’accesso a una parola è ugualmente facilitato se essa è fatta precedere da una parola morfologicamente associata, mentre se l’associazione è di tipo ortografico l’effetto di facilitazione o inibizione varia anche in relazione ad altri fattori (al proposito cfr. la sintesi di Cacciari 2001: 199 e 215-216). Nel caso particolare delle rime che si identificano con suffissi e desinenze, il fatto che esse individuino direttamente delle classi morfologiche, potrebbe comportare in sé una facilitazione nell’operazione di recupero di un numero ampio di parole rimanti e avere come conseguenza la predilezione da parte del poeta cui risultano appunto essere “rime facili”.

Chiarimenti importanti sugli aspetti cognitivi della selezione rimica si ricavano dall’analisi di un testimone eccellente qual è il rimario del Donatz proensals: dall’elenco fatto da Uc Faidit traspaiono molti dei meccanismi di rievocazione lessicale che ne hanno presieduto la compilazione. Nella sua redazione più completa il rimario è testimoniato dal manoscritto A (Firenze, Bibl. Laurenziana, Aedilium 187) e parzialmente anche da B (Firenze, Bibl. Laurenziana, XLI. 42) ed L (New York, Pierpont Morgan Library, 831); una diversa redazione è presente nel manoscritto D (Milano, Bibl. Ambrosiana, D. 465 inf.; cfr. Stengel 1878: XII e 105-110 e poi Marshall 1969: 7 e 46), compilato alla fine del XVI secolo, e una ulteriore versione, frammentaria ed esterna al Donatz, è contenuta nelle prime carte del manoscritto L, già latore della versione completa (in generale sulla tradizione manoscritta del Donatz cfr. Avalle 1961: 123-126). Qui ci occuperemo principalmente della redazione più completa del rimario, ossia quella che compare come appendice del Donatz nei manoscritti A, B ed L, e pubblicata da Marshall 1969, che usa A come base per la sua edizione critica.

In questo rimario le rime maschili e femminili sono suddivise in due elenchi separati diversamente ordinati, le rime maschili sono ordinate alfabeticamente mentre quelle femminili sono raggruppate in base alla consonante rimante, ossia prima sono elencate tutte le rime in vibrante (ura, ara, era), poi quelle in laterale (ala, ela, ila, etc.), in nasale implicata, e così via. Delle rime maschili sono elencate solo le forme sigmatiche perché considerate automaticamente inclusive di tutte quelle non sigmatiche. All’interno di ciascuna rima i rimanti, accompagnati da una traduzione in latino, si susseguono in un ordine che definirei alfabetico-(morfo)logico i cui tre criteri fondamentali sono (in base a quella che sembra la loro priorità):

1. alfabetico

2. di semplicità

3. semantico

Su questi criteri, corrispondenti alle strategie attivate per il recupero del bagaglio lessicale, intervengono altri criteri di ordinamento dipendenti da sistemi di rievocazione basati sui seguenti fattori associativi:

a. vicinanza ortografico-fonologica (forme omofone e quasi omofone)

b. vicinanza morfologica (base - prefissati; base - pseudo-prefissati)

c. vicinanza semantica (comprese associazioni poetiche tradizionali)

Le infrazioni più frequenti rispetto ai tre criteri ordinativi fondamentali possono dipendere quindi oltre che da errori di ordine alfabetico tra lettere contigue o prossime e da anticipazioni di forme più familiari (perché più frequenti nella lingua o emergenti dalla tradizione poetica), anche da recuperi e seriazioni per associazione di forme ortograficamente, fonologicamente e morfologicamente affini e da seriazioni alfabetiche in base all’iniziale della radice nei derivati prefissali. Probabilmente la commistione di questi differenti livelli di ordinamento dipende, almeno in parte, dal fatto che l’attività di rievocazione comprende «un processo attivo di ricerca, molto simile alla soluzione di problemi, e un processo più automatico in cui l’informazione emerge improvvisamente dal nulla» (Baddley 1990: 299). L’analisi di alcuni esempi permetterà di comprendere quali processi mentali abbiano caratterizzato il recupero del materiale lessicale.

Il criterio alfabetico si può considerare primario e fondante nell’ordinamento della maggior parte delle forme, ma non è applicato rigidamente, anzi ad esso si deroga in qualsiasi momento possa prevalere un altro criterio più economico o più efficace nel reperimento del maggior numero di elementi. All’interno di un contesto di alfabetizzazione il criterio alfabetico è un sistema altamente efficiente rispetto ad una richiesta di rievocazione sistematica ed esaustiva: è il criterio attraverso il quale una persona alfabetizzata può prevedere di riprodurre la totalità dei risultati. Di fronte ad una domanda tipo “trova tutte le parole che rimano con...”, la ricerca alfabetica permette di procedere secondo una sequenza prefissata che può essere tenuta continuamente sotto controllo.

Nel caso della rima aucs il criterio alfabetico è rappresentato quasi allo stato puro (da ora in poi si userà far precedere il segno * ad una forma che si intenda associata alla precedente attraverso elementi ortografico-fonologici o morfologici; mentre si userà il segno # o in alternativa + se l’associazione è di tipo semantico; con il segno X disposto alla destra della forma si indicheranno piccole infrazioni all’ordinamento imputabili a ragioni diverse da quelle relative ad associazioni ortografico-fonologiche, morfologiche o semantiche):

aucsANSER MASCULUS
baucsQUI PONITUR SUPRA MANICA CULTELLI
craucsSTERILIS
glaucsGLAUCUS
naucsILLUD [IN] QUO PORCI COMEDUNT
paucsPARVUS
traucsFORAMEN VEL PERFORES
*raucsRAUCUS
*enraucsRAUCUS FIAS


Alla fine quelle che sembrerebbero delle infrazioni in realtà lo sono solo apparentemente, dal momento che la sequenza dei tre rimanti è determinata da associazioni di altro tipo che non sostituiscono del tutto il criterio alfabetico: traucs e raucs condividono gran parte del corpo ortografico-fonologico; enraucs è morfologicamente e semanticamente associato a raucs, di cui è derivato verbale; le tre forme sono collegate da un’identità fonica che va oltre l’ultima vocale tonica e che rientra nell’ambito delle rime ricche.

Anche in situazioni più complesse le infrazioni all’ordinamento alfabetico si riducono se si considerano i prefissati direttamente associati alle loro basi. Come gli omofoni anche i corradicali sono elencati uno dietro l’altro: ne risulta che il prefisso ha praticamente un valore nullo dal punto di vista dell’ordinamento e quello che conta nell’ordine alfabetico è la base. Si osserva inoltre che questo fenomeno si estende anche a forme “pseudo-prefissate”, ossia a forme non prefissate ma scomponibili in modo che la prima parte sia equivalente ad un prefisso esistente.

Nel caso della rima ancs, ad esempio, estancs segue tancs pur non essendone un derivato; se si escludono le sequenze base/prefissato e base/pseudo-prefissato (francs, afrancs; mancs, esmancs; fancs, afancs; tancs, estancs; rancs, arrancs) restano poche altre infrazioni:

blancsCANDIDUS
bancsSCANUM X
crancsCRANÇUM
dancsCOLOR QUIDAM
#sancsSANGUIS
*sancsSINISTRARIUS
francsMANSUETUS
*afrancsMANSUESCAS
mancsMANCUS
*esmancs AUFERAS MANUS
fancs LUTUM X
*afancs IN LUTO INTRES
tancs PARVUM LIGNUM ACUTUM
*estancs CLAUDAS
*estancs STAGNUM AQUARUM
rancs CLAUDUSX
*rancs SAXUS EMINENS SUPER AQUAS
*arrancs EVELLAS


La prima infrazione evidente potrebbe derivare da un’associazione semantica per cui a dancs interpretato con ‘bruno’ segue direttamente sancs, forse perché il colore rievoca immediatamente la cosa (per il significato di danc cfr. Lazzerini 1998). L’inversione iniziale tra blancs e bancs si potrebbe spiegare con l’anticipazione della forma con maggiore frequenza d’uso (blancs e bancs occorrono entrambi solamente una volta, in rima, ma blanc occorre 17 volte in rima e 51 all’interno del verso invece banc solo 5 volte in rima e 1 fuori di rima), mentre nell’inversione tancs / rancs si può riconoscere un errore di ordinamento abbastanza comune in tutto il rimario tra lettere contigue o quasi contigue. Resta invece difficile da spiegare con ragioni generalizzabili il recupero di fancs dopo mancs.

Nel caso della rima athz alcuni rimanti sono inseriti nell’ordine alfabetico in base alla lettera iniziale della base o della pseudo-base (ho sottolineato la lettera o il gruppo di lettere iniziali escluse dalla ricerca alfabetica e ho evidenziato in grassetto la prima lettera della base o pseudo-base):

bathzSUBRUFUS
escahzPARTICULA PANNI
fahzFACTUS
*refahzITERUM FACTUS VEL IMPINGUATUS
*desfahzDESTRUCTUS
agahzINSIDIE
lahzTURPIS
enpahzIMPEDIMENTUM
*pahzPACTUM VEL STULTUS
*enpahz IMPEDIAS
rahz RADIUS
ensahzPROBATIO VEL TENTES
plahzCAUSA INTER OSTES X
trahz TRACTUS
alavahzMORBUS DIGITI IN RADICE UNGULE
*escaravahzSCARABEUS CORNUTUS
retrahzTURPIS RECORDATIO BENEFITII X
*contrahzDEBILIS PEDIBUS VEL MANIBUS
*pertrahzAPARATUS ALICUIUS OPERIS
*fortrahzSUBLATUS
esglahzSUBITANEUS TIMOR X


Come prima anche qui sono contigue forme corradicali o così interpretabili: fahz, refahz, desfahz; enpahz, pahz; alavahz, escaravahz; retrahz, contrahz, pertrahz, fortrahz. Il rimante agahz è inserito tra fahz e lahz, come se la forma fosse scomponibile in (a)-gahz, e ensahz dopo rahz in quanto scomponibile in (en)-sahz. Altre piccole infrazioni dell’ordine alfabetico sono determinate dal recupero di forme fuori ordinamento difficilmente spiegabili con ragioni analogico-associative: così per platz non contiguo agli altri rimanti in p- ma inserito tra s- e t-; per la serie di prefissati retrahz, contrahz, pertrahz, fortrahz non in sequenza immediata con trahz ma recuperati dopo escaravahz; per esglatz aggiunto a fine elenco.

Più complesso è il sistema di interruzioni dell’ordinamento alfabetico all’interno della rima ais:

aisOSCULUM
baisOSCULETUR
*baisOBLIQUM
*biaisDEMITTAT
*abaisDESTRUCTUS
faisONUS
gaisLETUS
*gaisAVIS QUEDAM VARIA
*glaisQUEDAM HERBA VEL FINDECANE VEL GLADIUS
*esglaisTIMEAS
*esglais TIMOR
naisNASCITUR X
#paisPASCITUR
#cais MANDIBULA
laisDULCIS CANTUS; DIMITTAT
*eslaisCURSUS SUBITANEUS
maisPLUS VEL MENSIS
*esmaisDESP[ER]ATIO
assaisPROBATIO VEL PROBES
rais RADIUS X
plais NEMUS PLICATUM X
jaisGAUDIUM X
savaisINERS
taisANIMAL: TAXUS
*entaisIN LUTO MITTAS
*taisEXPEDIVIT
ClavaisCASTRUM
RoiaisCIVITAS
CambraisCIVITAS


I rimanti abais, eslais e entais sono contigui a forme che corrispondono alle radici da cui sono derivati (l’interposizione di biais tra bais e abais si spiega facilmente con la forte affinità ortografico-fonologica tra le tre forme). La forma esglais segue glais probabilmente perché interpretata come suo derivato; e esmais è associata a mais ma in realtà è da questa etimologicamente indipendente. La sequenza alfabetica è poi interrotta in altri punti: a nais, anticipato rispetto alle forme in l- e m-, seguono pais e cais, probabilmente per associazioni di tipo analogico, per cui a nais ‘nasce’ si lega pais ‘si nutre’ (l’ordinamento alfabetico è comunque rispettato) e a questo si lega cais ‘bocca’; la serie assais (probabilmente scomposto in as-sais = es-sais), rais, plais può spiegarsi con un allentamento del controllo della sequenza alfabetica tra lettere vicine (s-, r-, p- alposto che p-, r-, s-), tenuto conto che anche nella rima in athz si riscontra una confusione nell’ordinamento di queste tre lettere; mentre restano oscure le ragioni logiche del recupero di jais dopo plais. Per quanto riguarda i toponimi, Clavais, Roiais e Cambrais, essi sono intenzionalmente disposti al di fuori dell’elenco alfabetico, come accade in generale per quanto riguarda i nomi propri anche nell’ambito di altre rime.

Come si è visto, non è detto che tutti i casi in cui l’elenco devia dai criteri che si sono individuati si possano spiegare logicamente, perché potrebbero rispondere ad una logica assolutamente individuale (tra le altre evenienze, dovremmo assumere come probabile anche la possibilità che in alcuni casi la serie di rimanti possa essere dettata dalla reminiscenza di componimenti in versi che non siamo in grado di riconoscere o che non ci sono pervenuti). Tuttavia ciò che emerge con chiarezza dagli esempi qui analizzati è che l’accesso al lessico risulta fortemente influenzato dalla vicinanza ortografica, fonologica e morfologica oltre che semantica dei lemmi, e questo è da considerarsi come riflesso del fatto che parole simili dal punto di vista ortografico-fonologico e morfologico hanno delle rappresentazioni mentali collegate.

La considerazione che nell’elenco di Uc Faidit prefissati e pseudo-prefissati, proprio come accade tra omofoni, siano accostati alle basi da cui derivano o a forme corrispondenti alle loro pseudo-basi, può essere spiegata con alcuni dei risultati derivanti dalle ricerche condotte da Taft e Forster (Taft - Forster 1975 e Taft 1981):

Le parole con prefissi hanno, inoltre, lo stesso effetto di facilitazione sul riconoscimento delle corrispondenti radici libere della ripetizione della parola prefissata (per esempio, “unaware” ha lo stesso effetto su “aware” della ripetizione stessa di “aware”) (Cacciari 2001: 167).

Del resto all’ipotesi generale che fa capo alle ricerche di questi studiosi si può far riferimento anche a proposito della possibilità che nell’ordinamento alfabetico il prefisso abbia praticamente valore nullo e che quindi le forme prefissate o pseudo-prefissate vengano ordinate in base all’iniziale della radice: l’ipotesi classica formulata per spiegare i processi di elaborazione dei prefissati «postula che i prefissi vengano tolti dalla radice (con un meccanismo di prefix stripping) prima che venga effettuata la ricerca della voce nel lessico mentale» (Cacciari 2001: 166).

A questo proposito è interessante osservare come si comporta il compilatore dell’altro rimario, quello frammentario e esterno al Donatz, trascritto nelle prime carte del manoscritto L, che certamente usa come fonte il rimario del Donatz. Marshall, editore del rimario (Marshall 1969: 371-373), indica come tratto particolare del rapporto di dipendenza tra i due rimari l’uso della parola tams attestata solamente qui (Marshall 1969: 52), ma credo che questo rapporto risulti evidente proprio se si guarda all’ordinamento dei rimanti elencati nell’ambito di alcune rime.

Ecco, ad esempio, l’elenco sinottico dei rimanti in ams:

Donatzframmento di L
ams
*ams
bramsbrams
bramsbrams
cams
clamsclams
*clams*clams
*reclams*reclams
*reclams*reclams
camsX
cizams X
coirams
dams dams
*Adams*Adams
*ams
estrams
*erams X
*essams
*estams
grams
famsXfams
*afams*afams
*aflams
forams
grams
lamslams
ramsrams
tamstams


Com’è facile osservare il compilatore del rimario frammentario di L include tutte le voci del rimario del Donatz e ne aggiunge numerose altre, aggiustando nello stesso tempo l’ordinamento alfabetico: ams, cams e grams, che si trovavano fuori ordine, vengono spostati nella posizione corretta. Nel nuovo elenco l’ordinamento alfabetico è rispettato in modo molto più rigoroso, le poche infrazioni conservate rispetto al Donatz riguardano quasi esclusivamente le sequenze di forme corradicali o che potevano in qualche modo essere interpretate come tali: a clams segue reclams, a dams Adams e a fams afams; aflams è probabilmente inserito dopo afams per effetto della vicinanza ortografico-fonologica tra le due parole. Le uniche infrazioni proprie del compilatore di L riguardano l’ordinamento interno alle serie che cominciano con la stessa lettera: clams precede cizam; la serie estrams, erams, essams e estams risulta disordinata, ma di fatto riordinabile in base al rapporto morfologico o pseudo-morfologico tra le diverse forme: (est)rams si associa a (e)rams, cui seguono essams e estams che condividono gran parte del corpo fonico e si collegano a estrams attraverso il prefisso es-. Si può presumere che il compilatore, che si dimostra molto attento alla sequenza alfabetica anche rispetto ai nuovi inserimenti, tuttavia tollera facilmente infrazioni determinate dalla vicinanza ortografico-fonologica e soprattutto morfologica delle voci.

D'altra parte il compilatore del rimario di L manifesta un elevato livello di consapevolezza rispetto a questo sistema di raggruppamento delle forme prefissate, visto che nella serie dei rimanti in anhs, rima non presente nel rimario interno al Donatz, abbrevia l'elenco con le espressioni «compost flanhz» e «compost sanhz» (sia nel rimario frammentario sia in quello interno al Donatz si usano formule utili ad abbreviare l'elenco dei rimanti: per la rima ans il compilatore del rimario frammentario inserisce l'espressione «usque mille», dopo tans, e poi «et omnia participia prime coniugationis desinunt in -ans, sicut amans, cantans, et cetera», dopo soans, per avvertire dell'esistenza di molte altre forme dello stesso tipo; anche nel Donatz si trovano formule simili a questa, come ad esempio, alla fine della serie dei rimanti in etz si trova «e totas la segondas personas del plural del presen del conjunctiu delz verbes de la prima conjugazo e tuit li nominatiu singular dels noms diminutius» - Marshall 1969: 214).

Si aggiunga ancora che anche nel rimario di D si osserva in alcuni casi la tendenza ad elencare in sequenza forme corradicali. Così, solo per fare alcuni esempi, nella rima in eig, destreig segue estreig e maleig neleig; nella rima in orda si trovano di seguito corda, acorda, descorda, desacorda (desacoda è evidentemente un errore di scrittura), nella rima in ers dopo vers si trovano convers, travers, envers. Tra l'altro non sono pochi i casi in cui il compilatore sostituisce alla rima in senso proprio un'omofonia più estesa, anche se poi l'elenco dei rimanti che segue non corrisponde sempre a quella terminazione, ad esempio il titoletto che precede i rimanti in erm e in erma recita rispettivamente «en ferm» e «en ferma» (sicuramente erroneo lerma) anche se poi solo nella rima maschile i rimanti sono effettivamente tutti composti di -ferm (ferm, aferm, conferm, deferm, Referm) mentre alla serie di rimanti effettivamente in -ferma (ferma, deferma, referma, conferma) si aggiungono merma, desmerma, aderma. E si tenga presente che pure qui la selezione e l'ordinamento dei rimanti può risultare significativa per comprendere gli eventuali rapporti di dipendenza con quella originale. Sebbene i due rimari divergano fortemente nell'impianto generale (in D le rime non sono in ordine alfabetico, non si distinguono rime in vocale chiusa e in vocale aperta e inoltre le rime femminili, in netta prevalenza, si alternano con le maschili, non sigmatiche) come nella selezione delle forme, anche in questo caso alcune coincidenze potrebbero portare ad ipotizzare almeno in parte l'uso di una fonte comune: solo per fare un esempio, i primi rimanti elencati sotto la rima eig di D (freig, deig, adreig) rimandano immediatamente a quelli elencati sotto la rima ethz della versione di ABL (frethz, drethz, adrethz) (per un confronto sistematico tra il rimario interno al Donatz e le due versioni differenti, quella di L e quella di D, si rimanda ad un altro contributo).

Tornando alla redazione più completa del rimario, al criterio alfabetico si associa spesso un altro criterio, che si è definito di semplicità proprio perché consiste nella disposizione all’inizio dell’elenco dei rimanti delle forme più semplici, spesso costituite dalla sola rima. L’elenco dei rimanti in ortz inizia appunto con ortz ‘orto’ e segue poi alfabeticamente con acortz, descors, conortz, forz, etc. come pure accade in altre rime con vocali toniche o e u. In realtà il criterio di semplicità non si configura come nettamente alternativo a quello alfabetico, anzi è come se ne costituisse il primo passo: in pratica è come se si partisse dalla terminazione rimica e ad essa si aggiungessero, in ordine, tutte le lettere dell’alfabeto. Questa tecnica corrisponderebbe alla terza di quelle descritte nel brano delle Leys di cui si è parlato all’inizio:

Encaras si per aquestas doas manieras hom no pot trobar los rims que vol. sedeu assajar per autra maniera. Pauzem que tu vols rims en . ona. adonx deves prendre primieramer las doas sillabas derrieras seguen las letras del becedari per esta maniera. Donx vejam quans rims trobarem en. ona. amb. a. denan. o. quosi diziam. aona. e si non podes trobar en. ona. amb. a. denan. ona. veias sin trobaras am. b. denan. ona. et adonx has bona e Narbona. De. c. coma escona. tacona. Bacona. noms propris. De. d. coma dona. perdona. gazardona... (Gatien-Arnoult 1841-1843: 382).

E del resto questa descrizione spiegherebbe la ragione per cui, nel rimario del Donatz, vengano a trovarsi vicine forme corradicali e si trovino collocate nell’ordine alfabetico secondo la lettera iniziale della base forme prefissate e pseudo-prefissate. Il meccanismo risulta molto efficiente perché, come si è detto, permette di rievocare sistematicamente un gran numero di forme: l’aggiunta progressiva di fonemi alla terminazione rimica facilita l’attivazione della memoria lessicale non solo perché procede attraverso l’individuazione di porzioni di parola via via più ampie, ma soprattutto perché procede attraverso l’individuazione di porzioni di parole che tendono a corrispondere a morfemi. In sostanza diversamente dal sistema alfabetico semplice che equivale alla richiesta “trova le parole che cominciano per a, poi per b, etc. e finiscono per X”, questo sistema corrisponde alla richiesta “trova le parole che finiscono per -aX, -bX, etc.”, in modo tale che la strategia di accesso al lessico mentale tenda ad associare lo stimolo di tipo fonologico ad uno stimolo morfologico e conseguentemente faciliti anche l’accesso a categorie semantiche. Partendo da queste osservazioni si potrebbe riflettere sull’impiego delle rime ricche e su altri tipi di rime tecniche in rapporto ai sistemi di rievocazione del lessico.

Risulta chiaro che queste strategie sono meno utili nel caso in cui la rima coincida con una desinenza o con un suffisso, in quanto la terminazione rimica corrisponde già ad una unità morfologica. I rimanti desinenziali e suffissali tendono infatti ad essere rievocati in serie anche all'interno di rime in cui convergono differenti classi morfologiche. È, ad esempio, ciò che avviene nell'elenco dei rimanti in ers estreit in cui gli infiniti sostantivati sono inseriti uno di seguito all'altro (uso i segni / e \, qui e altrove, per indicare l’inizio e la fine della serie):

aersADERENS VEL ADHESIT
/sabersSAPERE (NOMINALITER POSITUM)
*podersPOSSE (NOMINALITER POSITUM)
*aversABERE
\*deversDEBERE (NOMINALITER POSITUM)
espersSPERES VEL SPES
dersERECTUS
dersEREXIT
adersPROCURATUS
a[d]ersPROCURAVIT
sersSERO
versVERUM
liçersLICENTIA


O anche nel caso di etz estreit in cui la sequenza finale è costituita quasi esclusivamente (fa eccezione fadetz) da derivati con suffisso diminutivo:

BretzPROPRIUM NOMEN VEL HOMO LINGUE IMPEDITE
detzDIGITUS
petzBOMBUS
petz[...]
setzSITIS
vetzVICIUM
vetzVICIS
quetzPARUM LOQUENS
escletzPURUS
/soletzSOLUS
*tosetzPUERUS
fadetzFATUUS X
*anheletzAGNICULUS
*aneletzANULUS
*cabroletzCAPREOLUS
\*foletzFAUNUS VEL STULTUS


In alcune rime suffissali il criterio alfabetico viene quasi completamente abbandonato in cambio del criterio semantico, ossia di un sistema di enumerazione che segue principalmente categorie semantiche. Per quanto riguarda ad esempio la rima in als, che comprende tutta la serie degli aggettivi in al (-AL, -ALIS), se i primi rimanti sono disposti in base al criterio alfabetico (con variazioni simili a quelle fino ad ora descritte: egals trattato come fosse scomponibile in e-gals; leials seguito dal suo derivato desleials; tals anticipato rispetto a sals per errore di ordinamento di lettere contigue), questo criterio cede presto a raggruppamenti di tipo analogico:

cabalsCAPITALIS VEL ACCEPTABILIS
calsCALVUS
grazalsCATINUM
egalsEQUALIS
leialsIUSTUS
desleialsINIUSTUS
malsMALUS
palsPALLUM
talsTALIS
salsSALVUS VEL SAL
/emperialsIMPERIALIS
#reialsREGALIS
#comtalsAD COMITEM
\#vescomtalsAD VESCOMITEM
venalsVENALIS
/nadalsNATALE
#maialsMAIALIS
#ivernalsIEMALIS
\+estivalsESTIVALIS
senhalsSIGNUM
generalsGENERALIS
/vidalsVITALIS
#mortalsMORTALIS
\#comunalsCOMUNIS
/cardenalsCARDENALIS
#peitralsPETORALE
\#offitials OFFITIALIS
jornalsCAPUT UNIUS DIEI
orientalsORIENTALIS
/venialsVENIALIS
#criminalsCRIMINALIS
#infernalsINFERNALIS
+celestialsCELESTIALIS
\+terrenalsTERRE/NALIS
catedralsCATHEDRALIS
especialsSPECIALIS
censalsCENSUALIS


Come si può facilmente osservare i rimanti elencati si distribuiscono secondo tassonomie ancora riconoscibili: emperials, reials, comtals, vescomtal, rappresentano le gerarchie del potere temporale riferite in particolare al mondo feudale e si susseguono nel nostro elenco secondo l’importanza decrescente della condizione cui fanno riferimento; nadals, maials, ivernals si associano probabilmente perché rievocano un particolare contesto ambientale; estivals è evidentemente indotto da invernals per antinomia, come anche mortals da vidals; a cardenals seguono peitrals, che potrebbe indicare un tipo di ornamento portato sul petto dai prelati (cfr. FEW 1958: VIII, 109: mfr. e nfr. pectoral ‘orfroi quandrangulaire appliqué sur l’aube du prêtre, à la hauteur de la poitrine’ e Du Cange 1886: VI, 237, s.v. PECTORALE: ‘pars vestimenti canonicis regularibus concessi, qua pectus tegebatur’), e offitials che può riferirsi a un giudice ecclesiastico (cfr. FEW 1955: VII, 334 e Godfroy 1938: V, 577: ‘juge ecclésiastique délégué par l’évêsque’; Tobler-Lommatzsch 1965: VI, 994: ‘geistlicher Richter’) ma anche al libro di Offici ecclesiastici (cfr. Du Cange 1886: VI, 35, s.v. OFFICIALIS: ‘liber continens partem officii ecclesiastici’; ma Godfroy 1938: V, 577 così come LEVY 1907: V, 466 per la stessa definizione indicano la parola officier / oficier); venials e criminals possono aver evocato infernals, per via del campo semantico relativo al peccato; e a infernals si collega direttamente il suo antonimo celestials cui si associa, come terzo elemento della serie, terrenals, in riferimento alle categorie di inferi, cielo, terra.

Per quanto riguarda la rima -iers, che comprende i sostantivi in -ier, un ordinamento alfabetico non è neppure accennato:

cavaliersMILES
#escudiersSCUTIFER
#trotiersCURSOR
parliersLOQUAX
#lausengersBILIGUIS
bergiersQUI CUSTODIT OVIS
#porquierCUSTOS PORCORUM
formiersFORMARIUS
forniersFORNARIUS
#molinierMOLINARIUS
#saumiersMULLUS VEL ASINUS VEL IUMENTUM FERENS HONUS
#saumaliersCUSTOS SAUMERII
#paniersCANISTRUM
#panatiers, paniersQUI DAT PANEM AD MENSAM
carceriersCARCERATUS
#monestiersMONASTERIUM
mestiersMESTARIUM
celiersCELARIUM
seliersFACIENS SELLAS
botiliersOINCERNA
diniers DENARIUS
encombriersIMPEDIMENTUM
#destorbiersTURBATIO
feniers CUMULS VEL ACERVUS FENI
#palhersACERVUS PALEARUM
fumiers FUMARIUS
terriersTERRATORIUM
#semtiersSEMITA
colhersCOLLARIUS
cloquiersCAMPANILE
boviers BUBULCUS
#oliers FIGULLUS
sab[a]tiersCALCIAMENTA FACIENS
graniersOREUM
noveliersQUI LIBENTER RECITAT NOVA
traversiersQUI IN OBLICUM VADIT
pesquiersLOCUS UBI PISCES MITUNTUR
arquiersQUI CUM ARCU TRAIT
#balestiersBALISTARIUS
borsiersFACIENS BURSA
baratiersBARATATOR
#ronciniersMILES QUI NON HABET NISI UNUM RONCINUM
lebrers CANIS CAPIENS LEPORES
/oliversOLIVA VEL PROPRIUM NOMEN VIRI
verçiersVIRIDARIUM
periers PIRUS
#pomiersPOMUS
pruniersARBOR FACIENS PRUNAS
figuiersFICUS
mandoliersAMIGDALUS
#noguiersARBOR NUCIS
#avelaniersAVELLANARIUS
ciriers CIRIARUS VEL CITARISTA
#sorbiersSORBARIUS VEL CORBELLARIUS
rosiers ROSETUM
#violersVIOLETUM
lenhiersCONJERIES LIGNORUM
moriers MORUS
\mespoliers, nespoliersESCULUS
poliers[PUL]LARIUS
codonhyersCOTONARIUS
soliers SOLARIUM
mençoigniersMENDAX
destriersDESTRARIUS
talhiersCATINUS IN QUO CARNES PONUNTUR
#*teliersILLUD IN QUO TELA TEXITUR
maçeliersMACELARIUS
#caronhiersQUI CADAVERA SEQUITUR, VEL HOMICIDA
esperoniersQUI FACIT CALCARIA
taverniersCAUPO
senestriersSINISTRARIUS
loguiersMERCES
tesauriersTESAURARIUS
entiers INTEGER
petiers QUI FREQUENTER BUMBINAT
#rotiersERUCTUATOR

Fin dall’inizio dell’elenco è possibile individuare coppie e serie di forme evidentemente costituitesi per associazioni di tipo semantico: cavaliers, escudiers e trotiers; parliers e lausengiers; bergiers e porquiers; forniers, moliniers, saumiers, saumaliers, paniers e panatiers tutti riferibili ai processi della produzione e in fine della distribuzione del pane; carceriers e monestiers collegati dal riferimento alla clausura; encombriers e destorbiers; feniers e palhers; terriers e semtiers; boviers e oliers; arquiers e balestiers; baratiers e ronciniers analogicamente legati dal loro impiego come termini ingiuriosi; talhiers e teliers la cui connessione semantica è rafforzata dalla vicinanza ortografico-fonologica; maçeliers e caronhiers connessi perché entrambi riguardanti il trattamento di animali morti; petiers e rotiers; e inoltre i numerosi termini che si riferiscono agli alberi da frutta elencati tra olivers e mespoliers, associati in sottogruppi di maggiore affinità come periers e pomiers; mandoliers, noguiers e avelaniers; rosiers e violers; ciriers e sorbiers. Altre sequenze dipendono dalla convergenza ortografico-fonologica delle forme, come per esempio è nel caso degli omofoni celiers e seliers, delle coppie formiers/forniers, seliers/botiliers, monestiers/mestiers, colhers/cloquiers, nespoliers/poliers, pesquiers/arquiers e infine della serie balestiers/borsiers/baratiers determinata dall’identità della consonante iniziale.

È evidente che il sistema di ricerca alfabetico risulta inessenziale anche nel caso di serie di toponimi o di nomi e aggettivi che ad essi si riferiscono. La sequenza di nom provincial elencati sotto la rima in es segue piuttosto raggruppamenti geografici e politici:

FrancesFRANCIGENE
#AnglesANGLICI
GenoesGENUENSES
/BordalesBURDEGALENSES
VianesVIENENSES
#ValantinesVALENTINENSES
CarcassesCARCASONENSSES
#BedeiresBITERENCES
#AgadesAGATENCES
\#MarsselhesMARSSILIENSES
Brianzones [...]
PolesAPPULI
#ToesALAMANNI
#CampanesA CAMPANIA DICUNTUR
/BolonhesBONONIENSES
VercelesVERCELLENSSES
#PavesPAPIENSES
#CremonesCREMONENSES
TertonesTERTONENSES
#SaonesSAVONENSES
PontremolesPONTREMULENSES
#LuquesLUQUENCES
#SenesSENENSES
VeronesVERRONENSES
RimenesRIMENENSES
NovairesNOVAIRENSES
\MozenesMUTINENSES


Tutti i nomi di provenienza riguardanti le città francesi sono menzionati insieme e in una successione che rispecchia la dislocazione geografica: Carcasses, Bedeires, Agades, Marsselhes si riferiscono alle città più meridionali in una sequenza che segue l’orientamento Ovest-Est; mentre secondo un asse Nord-Sud si distribuiscono Vienne e Valence, nel caso si tratti rispettivamente della città del basso Delfinato, nel Dipartimento dell'Isère, sulla sinistra del Rodano, alla confluenza in esso del fiume Gère (meno probabilmente si tratta di Vienne del dipartimento del Poitou-Charentes) e di quella, nominata dai romani Iulia Valentia, sempre sulla sinistra del Rodano, presso la confluenza dell'Isère, capoluogo del Dipartimento della Drôme (ma potrebbe anche trattarsi di Valence d’Albigeois o di una delle altri numerosi centri che portano lo stesso nome). Per quanto riguarda gli etnici italiani si osserva che anche tra questi si possono individuare dei sottogruppi di maggiore vicinanza geografica. Quelli piemontesi e lombardi fanno riferimento a città che praticamente confinano con i territori del Monferrato: i primi (Verceles, Paves, Cremones) sono menzionati secondo l’asse Ovest-Est, mentre Tertones si allinea con Saones sull’asse verticale Nord-Sud (con Tertones si deve intendere in realtà Tortones, ossia relativo alla città di Tortona; cfr. Marshall 1969: 314 nota). Quelli toscani si trovano uno di seguito all’altro: Pontremoles, Luques, Senes. Frances e Angles, registrati all’inizio dell’elenco, sono gli unici etnici che fanno riferimento a dei regni piuttosto che a delle provincie, insieme a Toes che però è associato a Poles per evidenti ragioni politiche.

Oltre che dagli effetti dipendenti dalla competenza linguistica i meccanismi di rievocazione del materiale lessicale possono essere influenzati anche da competenze più specifiche che, nel caso particolare, riguardano l’esperienza poetica, ossia la conoscenza di opere letterarie in rima. Ad esempio anticipazioni di lemmi possono essere dovute a fattori di maggiore familiarità indotti dalla tradizione, come sembra nel caso della rima in aus: la prima parola della serie è braus (seguita da aus, caus, etc.) probabilmente in forza del sua evidenza nella poesia trobadorica, esso si trova infatti in posizione incipitaria in ben tre canzoni che hanno conosciuto una larga diffusione (si tratta delle canzoni di Arnaut Daniel 29,9, di Aimeric de Belenoi 9,5 e di Raimon de Miraval 406,6, tutte attestate in un gran numero di manoscritti). Il peso della tradizione poetica è tanto maggiore e più evidente quanto più la rima è rara, ossia corrispondente ad una terminazione poco produttiva nella lingua. Ad esempio, per la rima in aurs la serie di rimanti elencati da Uc Faidit si identifica con quella in aur della canzone di Peire Vidal (364, 38), se si considerano laurs e Vaurs in relazione ai rimanti Monlaur e Lavaur, secondo l’accezione etimologica scomponibili in Mon laur, e La Vaur (cfr. Fuksas 2002: 48 e Nègre 1990-1991: 249). Alla serie di Peire Vidal si aggiungerebbe solo la forma semitaurs, derivata da taurs:

aursAURUM
tesaursTESAURUS
saursCOLOR AUREUS
laursLAURUS
VaursPROPRIUM NOMEN CASTRI
taursTAURUS
semitaursSEMITAURUS
maursNIGER


In altri casi è evidente che la capacità di produrre lemmi con terminazioni difficili è limitata alla conoscenza di determinati testi. Così è per la rima ous in cui sono elencati tutti e solo i rimanti corrispondenti a quelli in ou della canzone di Arnaut Daniel (29,10)(quasi tutti i rimanti della serie sono presenti anche in altri testi - Arnaut Daniel 29,1; Guilhem Rainol d’Apt 231, 2; Raimbaut d’Orange 389,3; Raimbaut de Vaqueiras 392,5 Raimon de Miraval 406, 10 - ad eccezione di renou che caratterizza in modo specifico il componimento di Arnaut ed è riusato solo più tardi da uno dei poeti della Scuola Tolosana: Raimon de Cornet 558,34):

ousOVUM
bousBOS
nousNOVUS
renousUSURA
annousANNUS NOVUS VEL CIRCUMCISIO
mousMOVES
plousPLUIS


E anche per la rima uls in cui la ricerca, evidentemente molto complicata, si ferma alla serie di rimanti di Guillem de Berguedan (210,15)(cfr. per la rima in ul anche Bernart de Prades 65,1; il trovatore di Villarnaut 446,1 e l’anonima 461,57):

mulsMULUS
culsCULUS
coguls[...]
SaülsSAUL


2. Rima e facilitazione morfologica

Secondo alcuni modelli teorici i morfemi potrebbero essere considerati come delle unità di rappresentazione autonome, per cui esisterebbero nel lessico mentale delle connessioni specifiche dipendenti dalla composizione morfologica delle parole (Cacciari 2001: 167). In uno studio di Burani e Laudanna si descrive il paradigma “di facilitazione per ripetizione dei costituenti morfologici”: dagli esperimenti descritti in cui si richiedeva a dei soggetti di riconoscere il più rapidamente possibile parole realmente esistenti all’interno di una lista che comprende anche parole inesistenti, si è visto che il riconoscimento è considerevolmente facilitato, ossia la parola (target) viene riconosciuta più rapidamente e correttamente, se è fatta precedere da una parola (prime) ad essa morfologicamente collegata; questo dipenderebbe dal fatto che «nel lessico mentale, sono rappresentate relazioni di natura morfologica fra le entrate lessicali» (Burani - Laudanna 1993: 109). Sono stati teorizzati diversi modelli di rappresentazione mentale delle relazioni morfologiche, raggruppabili in due tipi fondamentali: nel primo parole morfologicamente collegate sono rappresentate «in forma morfologicamente decomposta con unità morfologiche condivise»; nel secondo le parole sono rappresentate intere «interconnesse attraverso legami di natura morfologica» (Burani - Laudanna 1993: 109).

Mettendo a confronto questi risultati con quelli provenienti da esperimenti in cui è valutato il grado di facilitazione (priming) prodotto dall’affinità ortografico-fonologica o semantica, si sono potute osservare delle differenze sostanziali: 1. si è visto che mentre l’effetto di priming morfologico è maggiormente efficace quando target e prime si trovano a un intervallo che varia tra i sette e i quindici stimoli, ma è ancora osservabile fino ad una distanza di quarantotto stimoli, effetti di priming ortografico-fonologico e semantico si riscontrano solo tra parole contigue o disposte ad un intervallo molto breve; 2. l’effetto di priming ortografico-fonologico e semantico aumenta se all’interno della lista è alta la “densità” di parole che sono in relazione ortografico-fonologica o semantica, mentre l’effetto di priming morfologico è insensibile a variazioni dello stesso tipo. In generale ciò che emerge dal confronto è che

gli effetti morfologici sembrano essere molto più stabili, di lunga durata, meno variabili al variare del contesto sperimentale e meno influenzabili da componenti strategiche, degli effetti dovuti alla condivisione di caratteristiche di forma ortografica o fonologica fra gli stimoli, o alla condivisione di relazioni di significato. A ciò si deve aggiungere che la condivisione di aspetti morfologici fra prime e target determina mediamente un effetto di facilitazione sul target molto forte, in termini di velocità e accuratezza nel suo riconoscimento, e senz’altro più ampio di quello occasionalmente prodotto dalla condivisione di caratteristiche ortografico-fonologiche (Burani - Laudanna 1993: 112).

L’effetto di facilitazione morfologica viene prodotto sia tra forme flessionali (volete volevo) sia tra forme derivate (abitazione > abitava). Con altri esperimenti si è indagato il livello di interazione tra le relazioni morfologiche e quelle ortografico-fonologiche e semantiche, da cui risulta che non è riscontrabile un'influenza diretta di queste sulle prime e che comunque i principi di organizzazione e attivazione delle relazioni morfologiche sono distinti e autonomi e rispecchiano il tipo di legame morfologico esistente tra le parole (Burani - Laudanna 1993: 108).

In realtà la maggior parte degli esperimenti su cui si fondano alcune delle più importanti ricerche condotte in questo ambito riguardano le connessioni lessicali intessute tramite l’identità della radice, al variare di affissi flessivi e derivazionali. D'altra parte molti degli studi di tipo cognitivo condotti sulla rima, hanno normalmente considerato la rima in senso generico come ripetizione della parte finale della parola e non ne hanno indagato gli aspetti morfologici. Dal punto di vista della rimica sarebbe invece interessante indagare gli effetti di priming morfologico, in particolare nella rievocazione più che nel riconoscimento, in rapporto all'associazione di parole con gli stessi suffissi. I suffissi hanno infatti importanza fondamentale nella formazione del lessico, dal momento che permettono di creare infinite nuove parole senza sovraccaricare la memoria, che viene facilitata anche dalla possibilità di associare tratti morfologici e tratti semantici.

Nello studio della formazione delle parole si è osservato che l’aggiunta di un suffisso normalmente modifica la categoria lessicale della base (agg. > sost., agg. > verb., etc.), mentre i prefissi possono cambiare l’aspetto di un verbo (da transitivo a intransitivo) e modificarne la reggenza, ma non la categoria lessicale. Neppure i morfemi flessivi hanno la proprietà di cambiare la categoria lessicale della base (Scalise - Thornton 1993). Inoltre le regole di suffissazione comprendono delle restrizioni sulle categorie della base, ossia di norma un suffisso è applicabile ad una sola categoria lessicale, mentre la maggior parte dei prefissi non prevedono alcuna restrizione. Una terza differenza notevole tra suffissazione e prefissazione è che l’aggiunta di un suffisso determina quasi sempre uno spostamento d’accento, mentre nessun prefisso determina questo effetto. Quindi in linea di massima attraverso il riconoscimento del suffisso si definisce la categoria lessicale della parola e anche la sua normale accentazione.

A questo punto, anche in vista di ciò che si è osservato a proposito delle associazioni morfologiche nelle serie di rimanti del Donatz, il quesito che si pone è se può essere individuato un collegamento tra l’effetto di facilitazione morfologica, provato al livello sperimentale, e il fatto che la rima cominci dall’ultima vocale tonica. Più in generale la domanda alla quale si cerca risposta è: perché la rima come procedimento strutturale della poesia si fissa come ripetizione di suono a partire dall’ultimo accento tonico? Il fatto che la rima cominci dall’ultima vocale tonica non ha un’importanza solamente fonico-ritmica: l’omofonia allungandosi all’indietro fino alla vocale accentata non solo viene a coinvolgere l’ultimo accento tonico del verso determinando un evidente effetto di esaltazione della cadenza ritmica, ma tendenzialmente arriva anche a comprendere e mettere in evidenza porzioni di parola sempre più funzionali dal punto di vista sia semantico, sia morfologico, sia sintattico. Questo fa sì che nei processi cognitivi alla ripetizione fonica in fine parola si aggiungano altri livelli di connessione che riguardano il dominio semantico e morfologico, e che contribuiscono ad aumentare il peso delle associazioni tra le parole e quindi a facilitarne l’accesso, la memorizzazione e la rievocazione. Dal punto di vista dell’elaborazione del lessico c’è quindi una enorme differenza tra la rima e la semplice ripetizione di suoni in fine di parola.

Come è emerso dall’analisi del rimario del Donatz, nell’ambito di alcune rime coincidenti con suffissi il criterio alfabetico non sembra in effetti necessario alla rievocazione, i rimanti vengono rievocati automaticamente sulla base di associazioni analogico-semantiche: è come se queste parole per essere rievocate in serie non necessitino di strategie esterne, e anzi la classe lessicale è unitamente rappresentata al livello mentale in sottogruppi semanticamente coerenti. La rima suffissale rappresenta un grado elevato di connessione fonica e morfologica tra le parole, ossia è come se il legame stabilito da una rima suffissale costituisca un livello di saturazione del legame di tipo fono-morfologico, infatti si osserva che nel rimario all'interno di una stessa rima suffissale gli altri livelli di connessione sono soprattutto di tipo semantico. D’altra parte si osserva come nel caso di altre rime non immediatamente coincidenti con suffissi i sistemi di associazione tra parole si caratterizzino proprio nella condivisione di parti morfologicamente significative. Come si è visto, la ricerca alfabetica è sospesa nel momento in cui la selezione di un morfema determini l’automatica rievocazione di una serie di forme con esso componibili.

Questi argomenti si dimostrano plausibili anche se si osserva il fenomeno dell’origine della rima dal punto di vista storico: Gasparov parlando dell'origine della rima osservava che, se la prosa si organizza principalmente in base alla sintassi e usa il parallelismo a scopi principalmente espressivi e mnemonici, è vero che «nel parallelismo le parole spesso terminano con identiche flessioni e queste flessioni danno origine alla rima», ossia che in sostanza l'omeoteleuto finale si genera nella prosa a partire da procedimenti parallelistici istituiti al livello sintattico (Gasparov 1993: 140). Al proposito cita un brano dei Florida di Apuleio (18):

Praeterea in auditorio hoc genus spectari debet, / non pavimenti marmoratio, nec proscenii contabulatio, nec scaenae columnatio; / sed nec culminum eminentia, nec lacunarium refulgentia, nec sedilium circumferentia; / nec quod hic alias mimus hallucinatur, comoedus sermocinatur, tragoedus vociferatur, funerepus periclitatur, praestigiatur furatur, histrio gesticulatur...

Ciò che risulta interessante in questo testo di Apuleio è che la rima in una delle sue prime apparizioni figuri proprio come ripetizione di una parte morfologicamente e sintatticamente funzionale della parola. Altri esempi dello stesso tenore possono essere ricavati dall’importante studio di Norden che, appunto, ricollega la rima ai procedimenti parallelistici tipici della prosa d’arte latina (cfr. Norden 1915: 834). Tra gli esempi riscontrabili nella poesia quantitativa latina Norden menziona rime come quelle tramandate da Cicerone, di Ennio (Tusc. I 69):

caelum mitescere, arbores frondescere,
vites laetificae pampinis pubescere,
rami bacarum ubertate incurvescere

e poi (Tusc. 85. III 45):

haec omnia vidi inflammari,
Priamo vi vitam evitari,
Iovis aram sanguine turpari

e ancora di Cicerone stesso:

ingentem cladem pestemque monebant,
vel legum exitium costanti voce ferebant,
templa deumque adeo flammis urbemque iubebant
eripere et stragem horribilem caedemque vereri,
atque haec fixa gravi fato ac fundata teneri


Il fatto che la terminazione rimica possa coincidere con un suffisso o con una desinenza è direttamente ricollegabile alla sua origine a partire da procedimenti parallelistici, ossia dalla necessità di mettere in relazione, all'interno di un discorso prosastico, elementi sintatticamente e morfologicamente paralleli e dalla possibilità di istituire tra di essi dei legami di tipo fonico. Come si può osservare in questi versi non mancano altri procedimenti di associazione fonica non necessariamente identificabili con una rima (anche di tipo allitterativo), quello che interessa è però che in questi casi la rima coincide con la ripetizione di una desinenza o di un suffisso proprio perché generata da un parallelismo di tipo morfologico. Ossia si potrebbe dire che in origine il fatto che l'omeoteleuto si estenda a creare una rima in senso proprio dipende dalle caratteristiche morfologiche delle parole che entrano nel parallelismo.


Bibliografia